Aggiornare il proprio diario di allenamento con gli ultimi progressi cronometrici è spesso il momento più bello dell’intera giornata. Ma non sempre è così: i miglioramenti che nella prima parte della carriera avvengono rapidamente e sono continui, nel tempo si diradano e gli sforzi per progredire di qualche decina di secondi sono molto più elevati.
Ce lo spiega Orlando Pizzolato nel numero di Correre in edicola, aprile.
Gli adattamenti fisiologici richiedono tempi più lunghi e non sono più quasi automatici, ma si attuano seguendo una serie di rendimenti alterni, una sorta di alti e bassi quasi come se il meccanismo della supercompensazione si fosse inceppato e procedesse a scatti. Questi miglioramenti non sono più quasi automatici, ma si attuano seguendo una serie di rendimenti alterni, una sorta di alti e bassi. Se si potesse monitorare l’andamento dei miglioramenti, ne uscirebbe un grafico simile a quelli degli indici di borsa: fasi di crescita si alternano a fasi di calo, ma con le prime a prevalere sulle seconde, ad evidenziare che la direzione è in “trend” di crescita.
Come i mercati finanziari necessitano di fasi di assestamento, situazioni in cui gli investitori prendono beneficio dai guadagni (prese di profitto), anche l’organismo prende delle pause di adattamento, pronto però a riprendere a migliorare dopo aver assimilato la fase di stress da carico.
È quindi normale che ci siano allenamenti con buoni responsi cronometrici ed altri non altrettanto positivi. Questi ultimi non evidenziano un calo della forma, ma semplicemente una perdita di efficienza. Non è sbagliato allenarsi quando ci si trova in questa situazione, ma allo stesso tempo non ci si può aspettare la miglior prestazione. Il 90% dei podisti affida il responso dell’allenamento proprio al cronometro, e soprattutto ai rilevatori di distanza; pertanto sedute in cui si rilevano ritmi più lenti e distanze inferiori vengono interpretati come situazioni negative e fallimentari.
Orlando Pizzolato racconta: “In accordo con il mio allenatore e con l’assistenza della psicologa che mi affiancava, programmavo allenamenti in cui dovevo ricreare situazioni di difficoltà. Non mi riferisco al disagio fisico perché la stanchezza e la fatica sono elementi quotidiani della preparazione di un atleta, ma dovevo ricreare situazioni negative. Le sedute di lunghissimo le correvo spesso il giorno dopo una gara perché iniziavo la seduta con i muscoli già stanchi. Altre volte correvo fino a tre sedute di corsa media consecutive, proprio perché giorno dopo giorno lo sforzo era sempre maggiore come i disagi”.