Oggi la maggioranza dei podisti usa strumenti specifici per misurare la distanza coperta in allenamento.Quello che sto per raccontare potrebbe quindi sembrare fuori luogo, perché è un metodo di quantificare i chilometri percorsi piuttosto particolare. Non ho mai parlato prima d’ora di questa mia caratteristica modalità di lavoro, che utilizzavo già da ragazzo (nel 1972), perché la consideravo molto personale, oltre che poco interessante per gli altri corridori, dal momento che ho sempre riscontrato che il podista, in genere, è molto rigoroso nella registrazione degli elementi (chilometri, ritmi, tempi) che compongono una seduta.
Il mio primo cronometro personale mi è stato regalato nel 1977 e solo da allora ho potuto disporre di dati precisi per misurare i miei crono. Prima, per vedere in quanto tempo avessi corso, prendevo a riferimento l’orologio del campanile del mio paese, che potevo vedere anche da lontano e i cui rintocchi (ogni 15 minuti) mi davano lo scandire del tempo nelle giornate di buio invernale. Prima di poter disporre di uno strumento in grado di rilevare la distanza complessiva sono passati altri 35 anni, ma nonostante ciò ho continuato a totalizzare i chilometri che percorro usando il mio, elementare, metodo. Non è ovviamente un sistema preciso, ma la matematica ha poche attinenze con la fisiologia.
Ho deciso di esporre questo mio modo di lavorare (che avevo condiviso fino a ora con pochissime persone) perché, in occasione di una cena a Portland lo scorso anno, ho scoperto che anche altri atleti lo stanno usando e che viene nominato Jerry Miles, dal nome del loro allenatore Jerry Schumacher. Con Jerry (votato come miglior coach del 2016 negli USA) ho condiviso alcune esperienze lo scorso novembre, quando sono stato suo ospite a Beaverton per assistere a un periodo di allenamento del suo team. In quell’occasione avevo chiesto come mai i suoi atleti non utilizzassero gli strumenti tecnologici tanto impiegati da altri. «Nah», mi aveva detto scuotendo la testa.
Parlando di come mi allenavo io e di quanti chilometri percorressi mi aveva riferito che a lui non interessa quanta strada fanno i suoi ragazzi e le sue ragazze, ma per quanto tempo si allenano. Ma come funziona il metodo Jerry Miles? Per gran parte della mia carriera il ritmo della mia corsa lenta è stato di 4’/km (gli atleti di Schumacher fanno riferimento a 7’ al miglio, anche se in realtà corrono a 6’30”-40”), pertanto in un’ora percorrevo 15 km. Se avessi corso per 58’, ad esempio, avrei inserito nel diario di allenamento sempre 15 km e così nel caso avessi invece avessi corso 62’. Di base non correvo mai meno del tempo prefissato: quando arrivavo a casa in 58’ proseguivo facendo il giro del quartiere per arrivare a 60’. Quando arrivavo invece a casa in 63’ era perché avevo allungato “involontariamente” (non ho mai praticamente avuto giri misurati, perché mi piaceva assemblare i percorsi inserendo le numerose varianti di cui disponevo). Di base andavo sempre più velocemente di 4’/km, spesso a 3’50”-55”, ma nel diario scrivevo appunto sempre 15 km. Il giorno (raramente) in cui correvo a 4’05” nel diario riportavo sempre 15 km (mai inserito un numero decimale, ad esempio 15,5 o 14,5). Agendo in questo modo, come ha ammesso anche Jerry Schumacher per i suoi atleti, i chilometri settimanali che percorrevo erano in realtà più di quelli che elencavo nel diario (almeno 10, ma con settimane da 180-210 km l’eccesso era anche di 20). Jerry, con il suo modo di contare le miglia afferma appunto che: «Al corpo non interessa il numero dei chilometri, ma il tempo che ha lavorato».