In gara ogni atleta ha la necessità di assimilare nutrienti nel modo più efficace possibile dal punto di vista delle proprie necessità metaboliche, ma contemporaneamente di provocare, con l’assunzione dell’integrazione, il minimo lavoro possibile ai danni dell’apparato digerente.
Se un atleta in una maratona suppone di avere necessità di 1000 kcal aggiuntive, non potrà certo pensare – come ingenuamente molti fanno – che assumendo una barretta con quel contenuto calorico, tutte quelle calorie siano immediatamente disponibili. La biodisponibilità è funzione di molti fattori: che l’alimento sia solido o liquido (gli alimenti solidi richiedono una digestione gastrica che comporta un’ora o più di attesa, e un consistente furto di sangue ai danni del resto dell’organismo), sia caldo o freddo (cibi freddi si digeriscono più lentamente) o sia composto da grassi, proteine o zuccheri.
I grassi sono i nutrienti dalla più lenta assorbibilità. Per essere assimilati hanno infatti bisogno dapprima di essere trasformati in piccole micelle dall’azione degli acidi biliari (e chi è senza cistifellea deve sapere che per lui questo tempo si prolunga di molto), poi attaccati dalle lipasi pancreatiche, smontati per entrare nelle cellule digestive, rimontati per uscirne e infine, attraverso un complicato giro come chilomicroni all’interno del sistema linfatico, i grassi arrivano al sangue.
Tutto questo senza alcuna utilità per il corridore in gara, visto che la disponibilità di grassi nel corpo umano è elevatissima, e neppure gare massacranti come il Tor des Geants (4-6 giorni di corsa continua in montagna) possono arrivare ad esaurirli.
Anche le proteine sono molto lente ad essere assorbite. Devono prima essere attaccate nello stomaco dalla pepsina (che richiede forte acidità gastrica, difficile da ottenere in gara, a digiuno) poi nel duodeno da carbossilasi e altre proteasi (che però lavorano male se prima non ha agito la pepsina). Infine si trasformano in singoli aminoacidi, che a quel punto vengono assorbiti. Sotto sforzo, tuttavia, il corpo ha grande bisogno di zuccheri e tende dunque a usare come zuccheri qualunque nutriente possa in essi trasformarsi (il processo viene chiamato gluconeogenesi). Sfrutterà dunque il glicerolo dei grassi per questo scopo (riempiendo il sangue di acidi grassi liberi), ed anche ovviamente le catene carboniche degli aminoacidi, che dovranno dunque ulteriormente essere “lavorati” da altri enzimi, generando come residuo scorie azotate (urea) che dovranno essere poi eliminate dai reni.
Tutto questo processo – che alla fine porta a costruire nuovo glucosio a fini energetici – costa energia. Energia di cui l’atleta avrebbe invece bisogno per muovere i muscoli affaticati.
Perché dunque non assumere direttamente zuccheri? Questa è infatti la soluzione adottata dalla maggior parte degli atleti. Poiché però non tutti gli zuccheri hanno identica rapidità di assimilazione, la nostra scelta di integrazione dovrà cadere su quelli più immediatamente assorbibili: glucosio e maltodestrine in soluzione liquida.