Di frequente associata alla spina calcaneare, la fascite plantare è una patologia molto comune tra chi pratica il running, ancora di più con l’avanzare dell’età.
Sentiamo spesso parlare di tallonite, di fascite plantare o di spina calcaneare. Chi corre con un gruppo di appassionati avrà avuto almeno un amico che lamentava questo problema, tanto più frequente quanto più gli anni avanzano. Sono infatti questi alcuni degli infortuni più frequenti fra i runner.
Fascite plantare e spina calcaneare sono patologie spesso associate e importanti da un punto di vista statistico proprio nelle infiammazioni da sovraccarico funzionale. Per quanto riguarda le spine calcaneari si è creata un poco di confusione da un punto di vista sia diagnostico sia terapeutico. Vediamo di fare un po’ di ordine, analizzando il problema partendo dalle cause.
Fascite plantare e spina calcanerare in dettaglio
La cosiddetta spina calcaneare può formarsi in corrispondenza dell’inserzione della fascia plantare sul calcagno ed è il risultato di un’infiammazione cronica da sovraccarico funzionale della porzione tendinea. Ovvero, la natura tenta di mettere un freno a tale reazione cronica calcificando le fibre di collagene sede di sofferenza. Le cause di questo problema sono di ordine anatomo-biomeccanico. In modo più semplice possiamo dire che, quando lo stiramento della fascia stessa avviene in modo difforme, si possono creare microlesioni in alcuni punti dell’inserzione ossea. Le fibre di collagene che compongono la fascia plantare possono così subire un processo involutivo che porta al depositarsi di sali di calcio al loro interno, con una conseguente e lenta trasformazione del tessuto stesso.
In ordine di tempo abbiamo prima l’infiammazione, che può cronicizzarsi, e poi la possibile formazione della spina calcaneare.
I sintomi
Il dolore – che nelle fasi iniziali tende a scomparire dopo i primi 5 minuti di corsa – è dovuto a uno stato infiammatorio e involutivo del tessuto. Con l’avanzare del processo di cronicizzazione la sofferenza può persistere anche durante il semplice cammino, limitandolo di molto. In questi casi risulta continua e inalterata anche dopo la fase iniziale dell’esercizio.
Le cause
Quelle legate a un sovraccarico funzionale e a un iperutilizzo della fascia plantare sono le più frequenti. Nel tempo si manifestano con una fisiologica perdita delle naturali caratteristiche elastiche dei tessuti fasciali. A parità di condizioni biomeccaniche e quantità di allenamento, un soggetto di 20 anni può sopportare uno stress eccentrico maggiore. Ci sono inoltre ragioni che dipendono da un eccessivo stiramento della fascia. Ciò avviene nelle sindromi iperpronatorie, in cui la rotazione del piede verso l’interno comporta un accentuato allungamento dei tessuti fasciali, anche per un tempo di appoggio aumentato.
Il piede piatto rappresenta il caso limite, pur non sempre associato a questa patologia.
Quel che emerge dagli esami
La radiografia, meglio se eseguita a raggi molli, può evidenziare una calcificazione della porzione inserzionale della fascia plantare, la spina calcaneare appunto. Quest’ultima si forma di solito in relazione a un sovraccarico prolungato nel tempo e non è legata a un singolo episodio infiammatorio. La spina calcaneare inoltre non è per forza connessa a una sintomatologia dolorosa, mentre un’interruzione microtraumatica della stessa è solitamente foriera di gravi limitazioni funzionali e sofferenza intensa. L’esame ecotomografico può evidenziare, oltre a calcificazioni, alterazioni anatomiche del tessuto fasciale, borsiti ed esiti di versamenti locali post traumatici.
La risonanza magnetica in alcuni casi ha messo in luce vere e proprie fratture da fatica o stadi prefratturativi della porzione ossea del calcagno, laddove si inserisce la fascia plantare.
La prevenzione
Si può attuare in caso di alterazioni causate da un eccessivo stiramento dovuto a problemi biomeccanici. In questi casi l’utilizzo di un’ortesi plantare progettata e realizzata per contenere le alterazioni della funzionalità biomeccanica del piede può prevenire l’insorgere di patologie croniche locali. Il contenimento degli effetti negativi dell’iperpronazione va dosato nella maniera corretta. La preparazione specifica dell’operatore e la scelta dei materiali più idonei sono in questi casi determinanti ai fini del risultato.
Lo stretching e alcune esercitazioni eccentriche, se dosate sapientemente, possono contrastare la naturale tendenza a perdere le caratteristiche elastiche dei tessuti, con particolare riferimento a quello della fascia plantare.
La terapia
Quella di cui stiamo parlando è una patologia che richiede molta pazienza, quantomeno nella fase iniziale. è innanzitutto opportuno avere le idee chiare sull’entità del problema, che va verificato con eventuali esami strumentali. In situazioni di dolore locale importante, per un limitato periodo di tempo possono essere assunti farmaci antinfiammatori per bocca. L’uso di un plantare progettato specificamente per migliorare l’assetto del piede può risultare determinante nel medio e lungo termine, mentre per contrastare la situazione infiammatoria emergente danno buoni risultati la tecarterapia, la laserterapia ad alta potenza e la magnetoterapia, laddove si abbia un interessamento osseo del calcagno.
Sono da evitare nel modo più assoluto infiltrazioni di farmaci cortisonici con effetto deposito. Situazioni di cronicismo persistente possono trovare beneficio permanente nel trattamento chirurgico di release della fascia plantare, tecnica che prevede l’allungamento della stessa con una ripresa pressoché immediata del cammino.