Ciclicamente compaiono notizie sensazionalistiche che decretano i pericoli del running per la salute. Ma questi scoop reggono a un’analisi approfondita dei dati scientifici a cui si ispirano? Su Correre di giugno Pietro Trabucchi ci spiega perché è importante disporre di un’informazione appropriata e indipendente su questi argomenti.
Qualche tempo fa numerosi quotidiani e settimanali hanno ripreso una notizia sconcertante per il mondo dei runner. I titoloni erano più o meno tutti di questo tenore: “Ѐ arrivata la rivincita dei sedentari, correre tanto fa male alla salute. Lo dice la scienza ufficiale!”. Tutti i vari articoli, abbastanza simili, a onor del vero, facevano riferimento allo straordinario studio pubblicato da Peter Schnohr sull’autorevole Journal of the American College of Cardiology. Non è la prima volta che vengono diffuse lugubri notizie di questo tipo.
Il problema è, però, nell’interpretazione sensazionalistica che giornalisti dalla lettura frettolosa danno a studi serissimi che varrebbe la pena di conoscere in maniera ben più approfondita.
Pietro Trabucchi è ovviamente andato in fondo alla questione e si è procurato l’articolo originale di Schnohr andando a leggerlo in dettaglio.
A partire dal 2001 l’equipe di Schnohr ha monitorato 1.098 runner in salute e 3.950 sedentari sani. I ricercatori hanno diviso i runner in tre gruppi in base a tre fattori distinti:
• frequenza settimanale degli allenamenti,
• durata delle sedute
• andatura sostenuta durante la corsa
Quindi, diversamente da come sembravano riportare i titoli delle notizie sui quotidiani (“Correre tanto fa male”), il fattore esaminato non è stato solo la durata della corsa, ma anche la frequenza degli allenamenti e, soprattutto, il “quanto forte” si corra ogni allenamento.
L’analisi statistica dell’incidenza del rischio di morte mostra conclusioni ben diverse da quanto adombrato nei titoli sensazionali: è il fatto di correre sempre forte (con velocità calcolate relativamente alla fascia di età, utilizzando scale di percezione di sforzo) che azzera il vantaggio dell’esercizio fisico, avvicinando il rischio di morte dei runner a quello del gruppo dei sedentari. Anche un’elevata frequenza degli allenamenti (correre più di tre volte alla settimana) rialza il rischio. Ma lo fa ad un livello che rimane comunque inferiore a quello di chi è inattivo.
Ancora più interessanti sono le indicazioni derivanti dall’analisi della durata degli allenamenti da cui sembrerebbe che siamo stati progettati più per correre a lungo e piano piuttosto che a grande intensità e\o frequentemente.
Una lettura accurata del lavoro di Schnohr porta a conclusioni molto diverse da quelle riportate negli articoli sensazionalistici apparsi recentemente. Ѐ innanzitutto l’intensità dell’esercizio il fattore pericoloso, non la durata.