Correre in altura, l’allenamento in ipossia, ovvero in carenza di ossigeno, rappresenta da molto tempo uno strumento in mano ad allenatori e atleti utile al miglioramento della performance in eventi di media e lunga durata, come la corsa di resistenza, il ciclismo su strada, il triathlon o lo sci di fondo.
Non a caso, gran parte dei successi internazionali negli eventi di fondo e mezzofondo, dalle gare su pista alle prove su strada, sono ottenuti da atleti che vivono sugli altipiani africani, soprattutto etiopi e kenioti.
Subito una precisazione importante: pur essendo una metodica adottata da decenni ed empiricamente testata, a livello teorico si sta ancora cercando di determinare con precisione quali adattamenti avvengono in quota e come sfruttarli nel processo di allenamento.
Per la maggior parte degli appassionati, spesso, il soggiorno in quota rappresenta un breve periodo di vacanza, grazie al quale si scappa dalla città e si ha la possibilità di allenarsi per più tempo e in luoghi affascinanti. In questo caso le regole dell’acclimatazione vengono bypassate, per godere a pieno di tutto ciò che la natura e uno staff tecnico preparato (nel caso di training camp) possono garantire.
Risulta comunque importante gestire bene le forze, il riposo, il recupero e l’alimentazione, così da evitare che un surplus improvviso di allenamenti (in certi casi si assiste a un incremento dei volumi anche del 100%!) porti a una sindrome da affaticamento o a infortuni da sovraccarico.
Che si tratti di atleti di élite o di amatori, non bisogna sottovalutare la dose di individualità nella risposta all’ipossia acuta e all’ipossia cronica, ovvero all’allenamento prolungato in altitudine.
È questione di tempo: con l’esperienza si capirà quale è il giusto compromesso per rendere al meglio e ridurre gli aspetti negativi di questa splendida esperienza.