PIù di una volta ho sentito dire, dai cosiddetti addetti ai lavori, che i ragazzi italiani che corrono sono molto forti nelle categorie giovanili, specie da allievi. Le loro buone prestazioni cronometriche, in così giovane età, farebbero quindi sperare che nel loro futuro ci possano essere tante soddisfazioni e buoni risultati.
Ma non è così: le speranze e i sogni di questi aspiranti campioni svaniscono nel giro di un paio d’anni, spesso anche prima. Ci si chiede quale sia la causa della dispersione dei nostri talenti. Non sarà che le loro doti vengono sfruttate precocemente?
Da sempre, da quando iniziai a correre oltre quarant’anni fa, ho sentito dire dagli allenatori che ai ragazzi non devono essere proposti stimoli elevati, per sollecitare in modo rilevante il meccanismo lattacido, se non occasionalmente. Su questo aspetto sono tutti d’accordo (in teoria), ma nelle piste trovo sempre mini-podisti intenti a correre a perdifiato, non solo di tanto in tanto, ma più volte nell’arco della settimana.
Tanti tecnici giovanili che interpello mi riferiscono che, essendo le gare dei ragazzi programmate per distanze di 800-2.000 m, che sollecitano essenzialmente il meccanismo lattacido, gli allenamenti devono svolgersi per forza così. È probabile che, per dare soddisfazione ai ragazzi e ai genitori, la ricerca del risultato spinga qualche tecnico a forzare un po’ la mano.
Mi sono poi chiesto come si allenino i ragazzi delle nazioni più rappresentative del mondo podistico mondiale. Non porto dati, ma solo tanti aneddoti. Wilson Kipsang – ex primatista mondiale di maratona – ha dichiarato che la sua scuola era lontana 3 km dal suo villaggio e che per l’andata e il ritorno percorreva 12 km al giorno. Mentre i compagni di classe restavano a scuola per il pranzo, lui tornava a casa a mangiare e quindi correva il doppio dei chilometri dei suoi amici.
Un altro aneddoto si riferisce alla forte maratoneta Tegla Loroupe, che ha iniziato ad allenarsi quando aveva già percorso (come stima) 20.000 km, semplicemente per andare a scuola (per 10 anni circa) e per altri spostamenti che regolarmente doveva fare a piedi. E chi non ha sentito l’aneddoto raccontato da vari atleti di livello internazionale in raduno in Kenya che, impegnati nell’allenamento mattutino, incontravano per strada giovani studenti che con i libri sottobraccio li affiancavano, percorrendo alcuni chilometri al passo di 4’ o anche meno.
Questa ricca serie di storielle, più o meno enfatizzate, evidenzia però un aspetto fisiologico particolare: i ragazzi degli altipiani non si allenano in modo intenzionale, ma percorrendo tanta strada a piedi. Correndo, o camminando, finiscono per migliorare inconsciamente le cosiddette componenti aerobiche di base.
Nelle piste che frequento non incontro allenatori che fanno correre i ragazzi stile Kenya, ponendo attenzione a quegli aspetti che rappresentano le fondamenta dell’evoluzione atletica. Mi chiedo quindi quale sia il metodo giusto per stimolare i ragazzi a un approccio fisiologico impostato sulla crescita atletica a lunga gittata, visto che i nostri ragazzi sono davanti a tutti, ma solo nei primi momenti di una carriera podistica che dovrebbe essere invece lunga… come una maratona.