Vi ripropongo l’immagine della copertina di Correre di dicembre, uscita dall’obbiettivo di Jader Consolini alla Venicemarathon. La scena rivela i co-protagonisti: uomini della polizia municipale, volontari della protezione civile e persone del pubblico. Osservateli: tranne un operatore, stanno tutti fissando l’atleta e generano un secondo fuoco ottico, una sorta di prospettiva rovesciata che trasporta il Federico Rossi concorrente oltre l’istante, quasi in equilibrio sul punto in cui s’incrociano le linee degli sguardi con quella della macchina fotografica, e lo trasforma nell’anello di una strana clessidra con i granelli dell’energia che s’infilano giù, uno via l’altro, mentre la spia della riserva s’infiamma di rosso nella mente.
E sono sguardi di preoccupazione, che inducono anche noi che comodi guardiamo la foto a trattenere il fiato: «Cosa farà, adesso che ha davanti tutta quell’acqua?». L’unica cosa che può fare in alternativa a fermarsi: spingere più di prima, le braccia distese dietro al termine dell’azione, quando la faccia finisce a guardare l’acqua da pochi centimetri sopra, un’acqua che non è azzurra e tantomeno chiara.
Il viso, quindi, non si vede, il pettorale neppure. L’immagine è per questo l’opposto degli stormi di aeroplanini umani ridenti o linguacciuti che riempiono i server dei fotografi da gara: qui l’identità affonda ed emerge il simbolo, perché Federico passa dall’essere un bravo amatore della categoria wheelchair, carrozzine olimpiche, al funzionare come una sorta di Milite Ignoto della passione, nel quale ci auguriamo possano riconoscersi tutti coloro che hanno saputo, qualche metro dopo questo scatto, affrontare il toboga dei ponti alternati alle pozze per guadare quel che restava della Venicemarathon 2018 fino a potersi annoverare tra i finisher e scoprire infine che a volte c’è qualcosa di Personal più importante del Best.
E con loro i finisher di Boston di quest’anno come quelli dell’innevata maratona del Brembo del 2009 o della Venicemarathon stessa del 2012 o più in generale quelli di tutti i dove della corsa in cui il maltempo spariglia le carte.
Spenderei quasi la parola libertà, perché ci si è scoperti ancora capaci di fare qualcosa di completamente inutile e questo lo trovo bello, magnificamente pericoloso, importante.
Uso il “noi” perché c’ero anch’io a mollo a guardare i concorrenti passare, inumidito, bagnato fradicio, “Se tu vuoi andare, vai!”, canta l’immenso Paolo Conte, mentre dal 9 novembre Roberto Vecchioni canta con Francesco Guccini “Ti insegnerò a volare”, dedicata, guarda caso, ad Alex Zanardi.
C’è ancora vita sul pianeta Corsa.