Dallo Speciale Giovani che Correre di Aprile ha dedicato all’attività sportiva dei ragazzi, ecco un estratto a firma di coach Giorgio Rondelli.
Quando vedo genitori, anche con un discreto o importante passato sportivo alle spalle, postare le foto dei loro bambini regolarmente vincenti alle gare per esordienti, sottolineando di avere generato un futuro campione olimpico, mi viene da sorridere. Il sottoscritto, dopo 45 anni vissuti da allenatore di alto livello, confessa di essere ancora in notevole difficoltà se deve indicare come sicuro talento il primo ragazzo promettente con cui viene in contatto. Non a caso le correlazioni tra atleti arrivati ai vertici mondiali e le rispettive prestazioni di alto livello del periodo giovanile sono piuttosto scarse nella letteratura sportiva.
Una prima classificazione divide il fenomeno del talento in tre branche principali:
1. talento motorio generale, per un giovane che abbia notevoli capacità motorie genetiche;
2. talento sportivo, per un giovane che abbia una buona predisposizione sia fisica sia mentale all’allenamento
3. talento specifico per un giovane che abbia caratteristiche generali per ben figurare in una determinata disciplina.
Un tempo per tutto
Con queste premesse generali, per far crescere in modo equilibrato un potenziale talento è necessario avere ben chiare le varie fasi dello sviluppo fisico e mentale del ragazzo, evitando il pericolo di un avvio troppo precoce e soprattutto dando eccessivo rilievo alla prestazione. Cosa che purtroppo avviene quasi sempre, per l’incapacità di trovare e individuare obiettivi parziali nella crescita di un giovane atleta, per cui il target fondamentale rimane sempre e solo la gara, dando così vita a un iter di crescita solo prestativo e non formativo.
Seguendo questa strada, si va per forza di cose incontro ad allenamenti unidirezionali, che portano a una specializzazione precoce senza tenere conto di altri parametri, fondamentali per la crescita. Prendiamo i risultati di tante gare giovanili. Il ragazzo più talentuoso in campo non vince quasi mai, mentre coglie quasi sempre il successo quello più allenato. Così come spesso fa la differenza chi ha avuto uno sviluppo fisico precoce, perché un conto è l’età anagrafica, un altro è quella biologica.
Tutti risultati che dovrebbero essere presi con beneficio di inventario ˗ perché con i giovani si dovrebbe lavorare sul medio e lungo termine, inserendo sedute specifiche al momento giusto ˗, ma che invece spesso creano frustrazioni nei ragazzi che vengono battuti e nei rispettivi entourage tecnici e familiari. In realtà è praticamente impossibile predire, prima dei 10-12 anni, chi è un talento assoluto e chi solo un potenziale bravo atleta, perché bisogna attendere almeno 3 o 4 anni di allenamento e di attività agonistica per trarre conclusioni.Certamente essere un talento giovanile potenziale non vuol dire poter diventare un futuro talento assoluto.
Le qualità necessarie
Perché l’evento di realizzi, occorrono tante altre caratteristiche che non sono genetiche e vanno scoperte e testate nel medio e lungo termine. Una di esse è la motivazione, la spinta interna dovuta alla pura ambizione personale o legata ad altri fattori, ad esempio quelli economici tipici dei grandi corridori africani, che vedono nello sport un’occasione di riscatto dalla povertà.
Il braccio armato della motivazione è la forza mentale e di volontà, che permette di affrontare e superare le difficoltà, negli allenamenti e nella vita. Fondamentale è anche la capacità di apprendimento, sia dal punto di vista puramente fisiologico-muscolare sia da quello tecnico-tattico, che favorisce e ottimizza il lavoro dell’allenatore. Viene poi la perseveranza, la dote principale. Il posare un mattone al giorno per costruire una cattedrale nel tempo.
Allenarsi in modo sistematico, senza esaltarsi se qualche seduta va molto bene oppure deprimersi di fronte alle giornate no. Nella mia carriera sono arrivati ai vertici non gli atleti con più talento teorico potenziale, ma i cosiddetti “meccanici di lusso”. Ci vuole poi un’adeguata resistenza allo stress. Diventare campioni è un’impresa ardua, ma realizzabile. Continuare a esserlo è molto più complicato. Bisogna riuscire a reggere allenamenti sempre più duri e le pressioni di varia natura tipiche della vita di uno sportivo di successo.
La gara rimane come l’esame-sintesi di tutto il processo evolutivo di un giovane talento verso la costruzione del campione di domani. Agli inizi deve servire come momento di verifica delle varie tappe. Non va enfatizzata come risultato tecnico, ma deve essere sempre un’importante palestra agonistica. Nel corso della carriera diventa come un esame universitario o come una tesi di laurea, dove si deve provare a tirare fuori il massimo dalle proprie capacità fisiologiche, mentali e tecnico-tattiche.