Vi ricordate il nome dell’ultimo vincitore italiano in un mondiale di atletica?
Dai, coraggio, è facile.
Come dite? Non ve lo ricordate?
E per forza sono passati 12 interminabili anni da quando si è sentito suonare l’inno di Mameli in una rassegna mondiale assoluta.
Era la fine di agosto del 2003 a Parigi S. Denis dopo un’estate torrida, quasi come questa, in una giornata dove l’autunno cominciava a palesarsi, un siracusano dagli occhi azzurri come il mare, tale Giuseppe Gibilisco, un acrobata del salto con l’asta si mise al collo l’oro dopo aver buttato il cuore oltre l’ostacolo e valicato l’asticella a 5,90.
Rinfrescata la memoria? Si? Dopo in altri mondiali, nell’ordine: Helsinki 2005, Osaka 2007, Berlino 2009, Daegu 2011 e Mosca 2013, di ori manco l’ombra.
E pensare che di notti magiche (come quelle dei Mondiali di calcio del 1990) ne abbiamo vissute e tante.
Gli esempi si sprecano. Andando a ritroso nel tempo, ricordate la mitica Fiona May? Atleta dal caratterino bizzoso (con la stampa, naturalmente), prima in Canada (Edmonton 2001) e nell’ormai lontano 1995 a Goteborg, nel lungo.
Notti indimenticabili in quel dell’Andalusia (Siviglia/1999), dove un normotipo come Fabrizio Mori fece sua la vittoria contro gli stizzosi transalpini che cercavano ogni volta il pelo nell’uovo, nella speranza di poter squalificare l’ostacolista labronico e permettere all’armadio a quattro ante che rispondeva al nome di Stephane Diagana di ripetere l’oro di Atene ’97.
A Siviglia chi non ricorda il pianto di Ivano Brugnetti? Secondo sulla pista iberica nella 50 km e oro anni dopo…. In seguito alla squalifica del russo Skurigin.
Nel 1997 sulla pista ellenica di Atene fu Annarita Sidoti a vincere l’oro, piccolo scricciolo marciante che sarà ricordata sempre anche per il suo indimenticabile sorriso. Qualcuno non lo rammenterà ma Michele Didoni, milanese purosangue, vinse a Goteborg la 20 km di marcia, un uomo che negli ultimi tempi ha passato mille traversie per l’affaire Alex Schwazer e che n’è uscito indenne, pulito, com’era la sua marcia il giorno che entrò, per primo stupendo tutti, nello stadio Ullevi del borgo dei Goti, facendo piangere lacrime di gioia a Pietro Pastorini.
Poi la doppietta di Maurizio Damilano a Tokyo ’91 e, prima ancora a Roma, sempre nella 20 km di marcia. All’Olimpico nel 1987 ci si ricorda della grande impresa di Francesco Panetta nelle siepi, con lo stadio che ribolliva di gioia, mentre nella pedana del lungo andava in scena uno dei più grandi furti dell’atletica. Prima di Panetta, nel 1983 a Helsinki, vera e propria capitale mondiale dell’atletica, nel primo appuntamento iridato toccò ad Albertin Cova, con i baffi da sparviero, farci saltare sulla sedia, vincendo i 10.000.
Queste sono state le notti mirabolanti dell’atletica iridata, dove l’oro luccicava anche per noi. Adesso tocca a Pechino. Un vecchio adagio recita: la speranza è l’ultima a morire…