Ritmi variati all’interno della medesima prova. lo spunto tecnico in edicola con Correre di maggio arriva da un lavoro del programma di allenamento di Sara Dossena che nel mese di febbraio aveva colpito l’attenzione dei lettori: 1.000 m corsi variando la velocità. A cosa serve? Quando inserirlo in programmazione? Che vantaggi presenta rispetto a un’esecuzione a velocità costante? La parola al nostro “coach” Giorgio Rondelli.
IL LAVORO Si parte con 700 m veloci e 300 m più lenti, per poi scendere a 600 m veloci e 400 più lenti, si continua dividendo la distanza in 2 tratti eguali di 500 m, sempre con le stesse modalità precedenti, per poi scendere con 400 m veloci e 600 lenti, quindi 300 m veloci e 700 lenti fino ad arrivare al 2.000 m conclusivo, che prevede i 5 tratti dispari di 200 m, il primo (0-200 m) il terzo (400-600 m), il quinto (800-1.000 m ), il settimo (1.200-1.400 m) e il nono (1.600- 1.800 m) con una continua alternanza di ritmi veloci e altri più lenti fino a concludere la prova. Un allenamento certamente non comune, non tanto perché nella metodologia di preparazione del mezzofondo prolungato manchino le sedute sui ritmi lunghi con variazioni di ritmo, quanto perché di solito vengono effettuate come allenamenti di rifinitura estrema in occasione di qualche grande appuntamento, piuttosto che come classica seduta di ritmi lunghi.
A COSA SERVE? Considerazioni generali a parte, quali possono essere gli obiettivi di una simile seduta? Sicuramente più di uno:
• Fisiologico: 5 prove di 1.000 m, oltre al duro 2.000 m conclusivo, sono un classico allenamento per sviluppare la potenza aerobica.
• Tattico-agonistico: è un lavoro che migliora la sensibilità dell’atleta, anche sotto l’aspetto mentale e agonistico, alle forti variazioni di ritmo che ci possono essere in gara e in particolar modo nelle corse campestri, dove piccoli dislivelli o le altre varie insidie di un tracciato costringono l’atleta a cambiare spesso il ritmo. Se la si assimila e la si sa gestire bene, può diventare una formidabile arma tattica per essere in grado di produrre attacchi anche violenti per sorprendere gli avversari o per replicare senza problemi in caso di accelerazioni del ritmo effettuate dai medesimi.
• Tecnico-biomeccanico: di volta in volta, in base alle velocità da mantenere, stimola l’atleta a usare l’ampiezza piuttosto che la frequenza del passo, come può essere normale per un ciclista impegnato in una corsa a cronometro su un percorso ricco di variazioni di pendenza.
Volete saperne di più? Approfondimento dedicato con tabelle a cura di Giorgio Rondelli su Correre di maggio.