Sono partite in 38, si sono allenate per sei mesi e in 10 sono arrivate a correre la maratona di New York. Alcune di loro erano principianti, altre avevano un po’ di pratica nelle gambe, tutte condividevano lo stesso passato segnato dal tumore al seno.
Sono tornate dalla Grande Mela stringendo una medaglia che è l’orgoglioso simbolo di un enorme lavoro fatto su stesse. Per testimoniare che #NothingStopsPink, niente ferma le donne.
Nothing Stops Pink è il progetto firmato da Fondazione Umberto Veronesi e Rosa&Associati per promuovere il movimento e la corsa come forma di prevenzione al tumore.
Su Correre di gennaio abbiamo presentato l’iniziativa, sul numero di febbraio diamo parola alle protagoniste.
Il racconto della Pink Patrizia Fada
Non avevo mai pensato, forse in gioventù desiderato, di partecipare ad una maratona, soprattutto alla maratona per eccellenza: New York.
Allenarmi, partire e partecipare a questa avventura con le mie amiche Pink è stato sicuramente incentivante; essere allenata da due esperti, competenti, umanamente di spessore, allenatori (Elena e Gianluca) è stata parte del motore che mi ha spinta ad andare avanti e a non mollare nonostante la chemioterapia e i suoi effetti fossero passati da pochi mesi, nonostante fossi completamente a digiuno di allenamento da corsa, nonostante un intervento a metà settembre, a soli due mesi dalla data fatidica.
Durante la maratona la forza di continuare arrivava da più parti: fino al 21° km, tra il tifo incessante e le band musicali ad ogni angolo, quasi non mi sono accorta di correre, poi ho iniziato a sentire la fatica e al 30° qualche dolorino alle ginocchia. A questo punto è solo la “testa” che ti fa continuare.
I pensieri sono stati tanti: potevo farcela perché i dolori della chemio erano stati molto più difficili da sostenere, potevo farcela perché lottare contro la paura di avere un tumore mortale è più difficile, potevo farcela perché comunicare ai miei familiari di avere una malattia gravissima è stato più faticoso, doveva farcela per tutte le donne che non sono sopravvissute, dovevo farcela per la mia bambina e i miei familiari che mi hanno sostenuto dall’inizio della malattia all’inizio degli allenamenti, dovevo farcela per tutti quelli che mi avevano permesso di vivere quest’avventura, dovevo farcela per dimostrare a me stessa che sono guarita, dovevo farcela perché volevo quella medaglia…
Platone insegna: “La resilienza in te sarà la via messianica che ti farà risorgere”
Io ho trovato la resilienza in me e sono risorta…