Nel suo libro, Opus (Corbaccio) Pietro Trabucchi, psicologo dello sport e collaboratore di Correre, accompagna i lettori alla scoperta delle potenzialità cerebrali della specie umana, spiegando come la spinta al miglioramento e all’impegno debba partire innanzitutto da ognuno di noi. Non solo per realizzare i nostri desideri, ma anche per sapersi adattare a un mondo in continuo cambiamento. Ne abbiamo parlato con lui.
Che cos’è, in pratica, l’automotivazione?
«Il saper rintracciare e poi mantenere attiva la nostra naturale tendenza a porci e a perseguire nel tempo degli obiettivi per raggiungere quel che desideriamo. È una capacità tipica degli esseri umani, che ci distingue dagli altri animali: il perseverare e il saper rimandare la gratificazione. Presente in tutti noi.»
Questa capacità parte da quel che lei definisce legge della passione.
«Anche l’essere umano, come qualsiasi altra specie, risponde agli stimoli del piacere, tramite l’attivazione della dopamina, neuotrasmettitore alla base dei desideri che agisce quando sentiamo di avere fatto bene qualcosa. Il sapere di potercela fare rende capaci di impegnarsi per riuscire anche in altre situazioni. A questo aspetto però deve poi fare seguito, appunto, quello della perseveranza.»
In Opus lei esamina studi recenti nel campo delle neuroscienze che hanno confermato questo meccanismo.
«Sì. Va trovato un equilibrio tra le componenti del cervello più istintive, che sono anche quelle più antiche, il cosiddetto cervello rettile, e le zone più recenti della corteccia prefrontale, legate agli aspetti più razionali e ai fattori che citavo prima legati alla perseveranza e anche alla capacità di regolare l’attenzione e la concentrazione.»
In che modo si allenano le aree prefrontali?
«Occorre innanzitutto fare scelte precise, focalizzare con chiarezza i propri obiettivi, che devono anche essere realistici, per evitare delusioni. È poi davvero importante capire che la motivazione va cercata sempre dentro di noi. Non arriva ma dall’esterno, come per magia.»
A tal proposito lei scrive che molte persone tendono a silenziare le proprie potenzialità, per paura e perché “fa comodo”, perdendo la capacità di automotivarsi.
«C’è questa tendenza ad adagiarsi e ad aspettare che i risultati arrivino dall’alto, che giunga qualcuno dall’esterno a infonderci fiducia. Ma, ribadisci, tutto deve partire da noi.»
Per lei è anche un problema delle nuove generazioni.
«Non solo, ma è indubbio che i giovani siano molto più confusi rispetto al passato, anche se hanno davanti una vasta scelta di possibilità, anzi, proprio per questo. Far capire ai giovani atleti e ai ragazzi che gran parte delle cose che ci accadono dipendono da noi e che nulla si ottiene con facilità a volte è complicato.»
Ancora sulla società di oggi, lei afferma che ci sarà sempre più bisogno di persone in grado di automotivarsi.
«Sì, oggi tutto, dalla società civile, alle competenze richieste dal mondo del lavoro, fino a tutto ciò che riguarda la quotidianità, cambia costantemente. Allenare la motivazione significa così anche stare al passo con i tempi e sapersi adattare. Lo si vede chiaramente con l’evoluzione tecnologica, avvenuta in modo rapido e forse non insieme a quella psicologica degli individui. Oggi si tende a reagire di pancia ai problemi, i social ci hanno messo del loro. Per affrontare le sfide del futuro è però fondamentale porsi obiettivi che conducano a miglioramenti, pensare a lungo termine. Anche e soprattutto per chi verrà dopo di noi.»
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