Il 23 febbraio, a Siviglia, ha fermato il tempo di gara tre secondi prima del vecchio record italiano (il 2:07’22” dì Stefano Baldini, Londra, 23 aprile 2006). Subito dopo, però, l’epidemia di coronavirus ha fermato il nostro, di tempo. Così non c’è stato modo di festeggiare come meritava Eyob Ghebrehiwet Faniel. Della crescita tecnica del primatista nazionale di maratona abbiamo parlato con il suo allenatore, il grande maratoneta Ruggero Pertile.
Sarà un caso, ma fa sorridere: Faniel è giunto in Italia proprio nel 2004, anno della vittoria olimpica di Stefano Baldini, ex primatista italiano di maratona.
Abbiamo incontrato Ruggero Pertile, allenatore di Eyob Ghebrehiwet Faniel, l’atleta che all’ultima maratona di Siviglia ha riscritto il primato nazionale di maratona: 2:07’19”. Ecco come sono arrivati a questo risultato.
Dopo i Mondiali in Qatar avevamo perso di vista Faniel. Che cosa è successo?
«Avevamo preventivato di fare un periodo di recupero, a questo però si è aggiunto l’imprevisto di due operazioni odontoiatriche. I Mondiali di Doha sono stati una batosta per lui. Venivamo da una preparazione lunga e curata nei particolari, anche l’adattamento al clima così estremo era stato pianificato in modo meticoloso. Il giorno della gara, però, abbiamo trovato delle condizioni un po’ diverse. Eyob ha corso una prova che, col senno di poi, è stata troppo conservativa. Io sono stato contento del 15° posto, ma credo che con un’altra condotta di gara sarebbe riuscito ad arrivare nella top 10, o forse meglio.»
Che cosa è cambiato alla ripresa degli allenamenti?
«Di sicuro ho visto una volontà ancora più forte, una nuova spinta a emergere concretizzatasi in un investimento di tempo, energie e finanze, visto che Eyob ha deciso di fare tre stage in quota. Credo che la grande differenza rispetto al passato sia arrivata proprio da questi periodi in altura, piuttosto lunghi e ravvicinati tra loro, nei quali la sua condizione è cresciuta notevolmente e con continuità.»
Ci spiega meglio come si sono svolti?
«Il primo periodo si è tenuto ad Asmara in Eritrea, a 2.300 m di altezza, dal 29 novembre al 28 dicembre. Durante questa prima fase abbiamo introdotto un tipo di lavoro di velocizzazione, visto che la maratona era ancora molto distante. Dopo la BOClassic, dal 4 al 23 gennaio Eyob è tornato di nuovo in altura, questa volta in Kenya, a Kapsabet. È stato lo stage in quota più breve ma, dal mio punto di vista, il più proficuo. Quando ti alleni con gente che corre la maratona in 2:05’ come Evans Chebet e Amos Kipruto, e quando vedi che durante le sedute specifiche non ti stacchi, o ti stacchi di poco e alle volte riesci anche ad allungare un po’, entri in un’altra dimensione, soprattutto per quanto riguarda la consapevolezza dei tuoi mezzi. Realizzi che anche loro sono esseri umani, non sono così inarrivabili: semplicemente, lavorano tanto e duramente.»
C’è stato qualche allenamento che l’ha impressionata?
«Diversi, ma non è mai la singola sessione a fare la differenza: conta l’insieme. Mi viene in mente un lungo di 37 km in leggera progressione su un percorso collinare in 2:06’40” (media di 3’25”/km, nda), oppure 18 km in un lavoro intervallato corsi a una media di 3’08”/km. Oppure un 12 x 1.000 m con recupero di 1’30” a una media di 2’54”/km.»
L’ultimo periodo invece dove si è svolto?
«Lo stage in quota finale si è svolto di nuovo in Eritrea, dal 31 gennaio al 20 febbraio; da lì abbiamo raggiunto direttamente Siviglia. Dei tre periodi questo è stato senz’altro il più delicato a causa di un problema che Eyob si portava dietro dalla mezza, una piccola lesione al bicipite femorale.»
Il suo ruolo nel record italiano?
«Non è questione solo di allenamenti, tabelle e programmi. Molto spesso, in passato, mi sono trovato ad arrangiarmi e ho vissuto sulla mia pelle le problematiche cui va incontro un maratoneta: trovare le gare ideali, il supporto dal punto di vista nutrizionale, la fisioterapia, il riposo, lo stretching, il potenziamento muscolare… il solo correre non basta più. A proposito della gara, è risultato fondamentale spostarsi nei diversi punti chiave del percorso tra cui, in particolare, il 40° chilometro. È lì infatti che gli ho dato l’ultimo incitamento, dicendogli che se non avesse spinto a fondo non sarebbe riuscito a fare il record. Direi che mi ha ascoltato, visto che ha corso gli ultimi 2.195 m in 6’23” ovvero a una media di 2’54” /km.»
Quanto margine di miglioramento ha Eyob Faniel?
«È un atleta giovane, ha corso 6 maratone fino a ora. L’aspetto su cui può migliorare ancora molto è la capacità di gestire e interpretare le competizioni di alto livello.»
Nota: Questo testo rappresenta una sintesi del servizio “Quel record italiano prima che il mondo si fermasse”, di Luca Tocco, pubblicato su Correre n. 427, maggio 2020 (in edicola a inizio mese), alle pagine 28-32.