Correre di aprile entra in case trasformate in palestra, asilo, archivio, cinema o pensatoio e restituisce una delle cose di cui sentiamo più la mancanza: la normalità.
Parto dalla foto che ho scelto per illustrare questa presentazione. Mi immagino così, dentro la luce, là dove finisce la mia città. Quando? Non lo so, e questo è naturale che logori. Quanti condividono un desiderio simile? È tornato il futuro nella nostra mente e riempie l’attesa. “Io era tra color che son sospesi” fa dire Dante a Virgilio. Siamo anche noi tutti sospesi? No, non mi sembra. Siamo dentro a un tempo sospeso, ma subito ci siamo preoccupati di riempirlo: Instagram vomita piegamenti e sedute sui rulli, Facebook è tappezzato dei cimeli che il riordino di casa riporta alla luce, perché della corsa, come del maiale, non si butta via niente: medaglie, numeri di gara, volantini e magliette, foto con firma del campione e “Io sono quello con la canotta rossa, non portavo ancora gli occhiali” … vuoi non metterci un “mi piace”?
Gli altri siamo (anche) noi
Ma fuori dalla mia finestra, quella di casa come quella della redazione, si muore ancora e io che non sono né un medico né un infermiere combatto con un senso di inutilità. Quanti non incontreremo più quando torneremo a incontrarci alle gare?
Il pericolo per la salute di tutti ha ristretto il recinto della vita. Ha senso parlare ancora di corsa?
Ha senso parlare ancora di vita, e la corsa questo è: un’espressione della nostra voglia di vivere.
Ci mancano di più le endorfine o la socialità?
Di socialità, a dire il vero, nella corsa ce n’è tanta anche in questo periodo: penso a quante società podistiche ci stanno segnalando le proprie raccolte fondi per l’ospedale della zona, penso alla battaglia di Piero Giacomelli, che con la Onlus Regalami un sorriso sta acquistando dall’estero e facendo fabbricare in Italia migliaia di mascherine da consegnare agli ospedali.
Tutto questo nei telegiornali ci finisce poco: la solidarietà nella corsa non fa notizia, fa più ascolti la caccia all’untore.
Normalità andiamo cercando
Correre di aprile entra in case trasformate in palestra, asilo, archivio, cinema o pensatoio e restituisce una delle cose di cui sentiamo più la mancanza: la normalità.
Tante le cose da segnalare, tutte da leggere pensando a quell’immagine e al mondo che ci aspetta.
Mi concentro sull’intervento tecnico di Pizzolato, che prende spunto dall’invidiabile club “5DS3” (5 Decades Sub 3 hours), di cui fanno parte solo quegli atleti che in ogni decennio della propria vita sono riusciti a concludere almeno una maratona in meno di tre ore. Non sono tutti top runner e pare che parte del loro segreto consista nel fatto di aver corso non più di 35 chilometri a settimana di corsa, ma di aver dedicato molto tempo ad altre attività fisiche utili a chi corre.
… un po’ come tutti noi siamo costretti a fare in questo periodo.
Buona lettura.