«Questa mattina, prima di andare al lavoro, ho mandato un messaggio a Zanda, gli ho scritto che lo aspetto al via, al più presto.»
Enrico Ghidoni è, come si dice, “sul pezzo”: fratello minore di Roberto (leggenda dell’Iditaroad trail race), la Yukon Artic Ultra la conosce bene avendola vinta cinque volte, quattro delle quali nella versione lunga, quella da 430 miglia (con un record di 8 giorni e 21 ore). Per questo gli abbiamo chiesto di aiutarci a capire cosa può essere accaduto all’ultramaratoneta sardo Roberto Zanda.
«Non ho avuto modo di parlare con Zanda ̶ precisa Enrico ̶ , ma da quello che ho potuto leggere è molto probabile che quello che gli è accaduto sia conseguenza dell’ipotermia. Gli episodi di congelamento sono frequenti a quelle temperature, ma sono di diversa gravità, dal primo al quarto grado. Quello che ha colpito Roberto è un congelamento di quarto grado, dovuto probabilmente a una forte e prolungata esposizione di una parte del corpo all’aria. L’ipotermia si presenta in modo subdolo, con una sonnolenza che, dopo ore e ore di corsa, è facile scambiare per stanchezza, esaurimento delle forze. Con la sonnolenza e la concomitante condizione di fame e privazione di sonno, è facile essere vittima di allucinazioni. Roberto ha parlato di una casetta in cui si sarebbe rifugiato, che però pare non esista. L’ipotermia gioca questi brutti scherzi. Tipico, ad esempio, è togliersi le scarpe senza avere prima acceso un fuoco che permetta di tenere caldo il piede durante i minuti in cui resta “nudo” a contatto con l’aria.»
«È capitato anche a me – ricorda Enrico Ghidoni – quando, nel 2015, mi ritrovai a un certo punto a parlare con mia figlia Stefania, che… evidentemente non c’era! Ho avuto la fortuna di ritrovare un attimo di lucidità, fermarmi e infilarmi al volo dentro al sacco a pelo a riposare e scaldarmi. Quell’attimo, probabilmente, mi ha salvato. Lo stesso fatto che Zanda non abbia azionato l’help (sul trasmettitore satellitare di cui ogni concorrente è dotato) è un altro elemento che fa pensare a una perdita di lucidità.»
Allucinazioni da stanchezza, privazione di sonno, congelamento sempre in agguato. Durante l’edizione del 2007 (la prima vinta da Ghidoni) la temperatura scese a -61°.
Chiediamo infine a Enrico Ghidoni di spiegarci come ci si può allenare per affrontare condizioni simili: «La preparazione atletica, così come la intendiamo per le ultramaratone su strada, qui va in secondo piano. Il “sale” della sfida, la capacità che più di tutte può fare la differenza tra sopravvivere integri o rischiare gravi conseguenze, è saper prendere la decisione giusta al momento giusto, senza ritardare. La decisione da prendere è spesso quella di fermarsi, ripararsi e riposare. La Yukon Artic Ultra è questo in sostanza: una partita a scacchi con una natura estrema, che ti manda dei segnali (stanchezza, ipotermia) e aspetta la tua reazione. Tutto si decide lì, nella tua capacità di scegliere cosa fare. La condizione fisica è importante, per carità, ma non fa la differenza: alla “Yukon” ho battuto atleti, che se mi incontrano in mille altre gare mi battono milleuno volte. Lì, però, quello che conta è l’armonia continua tra corpo e mente, e questo non è allenabile.»