«È difficile continuare a tenere alta la motivazione. Avrei dovuto correre alla maratona di Amburgo (19 aprile) e lì tentare di conquistare il posto in squadra. Insulti? Credo sia un problema solo delle grandi città, dove il verde pubblico è poco rispetto a quanti volevano andare a correre.»
«… oggi non me la sono sentita di andare a correre: dopo questa ulteriore “stretta” alle norme sull’uscita di casa, non so se sono in regola o meno ad andare a correre. Ho lavorato sulla spin bike e sui miei abituali esercizi.»
Perfino una top runner come Valeria Straneo, primatista italiana di maratona e potenzialmente ancora in grado di conquistare un posto in squadra per Tokyo 2020 (sempre ammesso che… ndr), vive nell’incertezza e la confessa tranquillamente nella diretta sulla pagina Facebook della testata Runners&benessere, ospite della puntata di domenica mattina, 22 marzo.
«Domani chiamerò in Fidal per capire come mi posso muovere. L’esenzione dal divieto di uscire di casa, di cui gli atleti di vertice disponevano fino a venerdì, non mi è chiaro se è stata salvaguardata nelle nuove norme. Nel dubbio, ripeto, oggi ho preferito dedicarmi a un allenamento alternativo»
Timore di insulti?
«No, non mi è mai capitato, anche perché dove vado io a correre non c’è nessuno. Credo che queste frizioni siano più un problema delle città grandi, dove gli spazi di verde pubblico sono pochi rispetto a quanti vogliono andare a correre, per cui è facile che si generi assembramento, soprattutto adesso che, con la chiusura di piscine e palestre, ai podisti abituali si aggiungono quelli un po’ improvvisati. Il risultato di tutto questo è che in chi non corre cresce la preoccupazione e quindi la tensione. Senza questo timore, penso che nessuno sarebbe contrario al diritto di tutti di andare a fare una corsa o una passeggiata.»
Come stava affrontando, da atleta top, questo periodo di emergenza?
«Fino a prima di questo weekend ho continuato ad allenarmi come sempre. Per me, infatti, è normale, qui ad Alessandria, correre da sola senza incontrare nessuno, perché, ripeto, corro di solito in mezzo ai campi, appena fuori da questa piccola città, ma anche qui in casa sono attrezzata: ho una piccola palestrina che ho allestito in sala e riesco bene o male a gestirmi e a fare allenamento alternativo. Poi c’è il tapis roulant dei miei suoceri, che spero mi possano prestare. Con tutti gli infortuni che ho avuto, mi sono abituata ad allenarmi in casa (sorride).»
«Sta cambiando un po’ la mia alimentazione, quello sì: non ho le cose fresche di prima. Mangio tanto pesce, di solito, ma adesso mi manca il pesce fresco, che compravo al supermercato, e che ora si trova a fatica, al di là delle file da affrontare. Mi organizzo con il pesce surgelato, ma non è proprio la stessa cosa.»
… la mamma Valeria Straneo, invece, come se la cava con i figli a casa tutto il giorno?
«Bene anche lì, perché i ragazzi, 12 e 14 anni, sono ormai grandi e si autogestiscono, passano più tempo di prima davanti a Netflix o alla TV, certo, però studiano anche, fanno le lezioni, sono seguiti da remoto dagli insegnanti. E poi ci alleniamo un po’ tutti assieme: l’altro giorno abbiamo fatto un circuito di forza che fa bene a me, ma anche a loro, anche se si stava un po’ stretti. Anche loro, infatti, fanno sport: pattinaggio in linea, agonistico, e mia figlia fa anche ginnastica artistica, che non è facile da allenare in casa… Si finisce per valorizzare di più quello che si è sempre avuto, come, ad esempio, la fortuna di avere un piccolo cortile, dove c’è anche un tappeto elastico.»
… quindi la mitica ruota esibita sul traguardo del Mondiale di Mosca 2013, la sa fare ancora?
«Certo, guai a chi lo mette in dubbio: ruote, ponti, verticali… mi ci alleno tutti i giorni. Diciamola tutta, però: non so se riuscirei ancora a farla subito dopo una maratona, ma prima sì, ce la faccio eccome!»
Il libro che racconta la sua storia è stato intitolato con un’espressione dei suoi figli, all’epoca piccoli: “Valeria fa gli olimpiadi” (scritto con Marco Tarozzi, ndr). Adesso anche “gli olimpiadi” sono a rischio…
«Beh, rispetto a questo mio problema loro vivono nel loro mondo, a parte che nessuno sa se queste Olimpiadi si faranno o meno: siamo nel pieno dell’emergenza, non solo in Italia ormai, ed è difficile fare una previsione. I miei figli vedono le cose dal loro punto di vista, diciamo pure dal loro tornaconto: ci terrebbero tantissimo ad andare in Giappone, un viaggio di tutta la famiglia che era già stato organizzato nel 2015, quando io dovevo correre alla Nagoya marathon. Mancava poco alla trasferta quando mi infortunai. Tra il convinto e l’ironico, cioè la voglia di farmi arrabbiare, me lo rinfacciano ancora oggi che “Per colpa tua, non siamo andati in Giappone!”. Ma si può?»
È proprio guardando i tempi di Nagoya, dove corrono solo le donne, che ci si rende conto di quanto sono forti le maratonete giapponesi. Si è fatta un’idea del perché di questa “scuola giapponese” della maratona?
«Durante un raduno mi è capitato di parlare con le ragazze che avevano fatto da pacer alla Nagoya marathon dell’anno scorso: 3’20” al chilometro, una passeggiata… (ride). … in realtà non ho ancora capito le reali motivazioni del boom giapponese, ma la mia impressione è che in questi ultimi anni il fatto di avere in casa i Giochi olimpici abbia funzionato come uno stimolo enorme. È un popolo orgoglioso, e far parte della squadra olimpica diventa un onore ancora più grande di quanto già non lo sia in generale.»
Come gestisce questa incertezza sul futuro? Sul Corriere della Sera, Filippo Tortu ha spiegato che sta continuando a pensare che il 24 luglio ci sarà la cerimonia di apertura e si allena come se fosse sicuro che le qualificazioni si svolgeranno nel giorno previsto…
«Per lui è diverso: è già sicuro di essere convocato. Io mi stavo preparando per correre la maratona di Amburgo, il 19 aprile, e le mie carte me le sarei giocate lì. Adesso è saltato tutto. Non solo non ho la certezza che si svolgano i Giochi olimpici, ma non ho nemmeno la certezza di riuscire a parteciparvi. In queste condizioni la motivazione rischia di venire meno, perché non vedi la fine, non sai quando ci si potrà tornare ad allenare liberamente e a gareggiare, forse quest’estate, ma a quel punto sarà tardi, ci potranno essere almeno gli Europei, chi lo sa, oppure ci dedicheremo a una maratona a fine anno, anche perché si sono concentrate tutte in autunno, ne possiamo fare anche quattro al giorno!»
Ci fu un periodo in cui le maratonete italiane al top facevano due maratone in autunno: negli annali c’è una doppietta Carpi-New York di Franca Fiacconi, ad esempio…
«Non farebbe più per me: dopo Valencia (2:30’44”, il 2 dicembre, ndr) mi ci è voluto un mese e mezzo per recuperare, dev’essere una questione di età… (sorride)»