Se una notte di maggio un Passatore

Se una notte di maggio un Passatore

28 Maggio, 2015

Quella di sabato 30 maggio sarà la sua decima partecipazione alla 100 km Firenze-Faenza. Nelle precedenti nove edizioni ha sempre vinto collezionando nel frattempo anche tre titoli iridati. Per l’occasione riproponiamo l’intervista integrale a Giorgio Calcaterra uscita nel numero di Correre di aprile, quando la partecipazione era solo una lieve speranza.

«Non è piacevole sentirsi stanchi».
Ma lo specialista della cento chilometri ci sarà abituato…
«A quella buona, sì. Ho imparato che esistono due forme di stanchezza: una buona e una no. La stanchezza buona è quella della sera di una giornata in cui tra corsa e lavoro hai dato tutto. Sei stanco, ma sereno. La coscienza è a posto e sai già che il sonno quella stanchezza se la porterà via. Ce n’è una, invece, che all’alba è ancora lì, anche in giornate non particolarmente impegnative. A quella non mi sono mai abituato e adesso è di nuovo qui con me».

Una stanchezza, scopriamo subito dopo, fatta di preoccupazione per una contrattura al bicipite femorale destro, rimediata alla Roma-Ostia. Preoccupazione per il persistere del problema, preoccupazione cui si aggiunge un “senso di colpa”.
«Tutto è nato dal fatto che ho allacciato male una scarpa e, quando in gara, poi, si è slacciata, non mi sono voluto fermare e ho proseguito, ovviamente con un’azione muscolare contratta dal dover “trattenere” la calzatura a ogni appoggio».

Comincia così la chiacchierata al telefono con Giorgio Calcaterra, in una tarda serata al confine tra l’inverno e la primavera, sul limitare di un’altra stagione da gladiatore della fatica. Gladiatore, sì, perché dopo qualche prova tecnica di trasmissione in forma di mezza e maratona, il nove volte di seguito vincitore della 100 km più famosa del mondo, la Firenze-Faenza nota ai più come “Il passatore”, si stava preparando ad affrontare la doppia maratona di Roma: 84 km da percorrere mentre gli altri ne avranno fatti 42, domenica 22 marzo. E già sappiamo che sotto al Colosseo, che di gladiatori ne ha visti tanti, in tanti, assetati di sangue e arena, gli avremo chiesto: «Ma il Passatore lo farai ancora?»

«Posso solo sperare di esserci. Non posso spingermi oltre la speranza, quella stanchezza non buona me lo impedisce. L’affaticamento, a dire la verità, è anche dovuto al fatto che, tra dicembre e febbraio, ho effettuato allenamenti meno da ultra maratoneta e più da specialista di mezza e maratona. Ho lavorato molto sulle velocità di gara.»

E pensare che mi ero immaginato un Calcaterra rilassato: niente più taxi, ore nel traffico, stress da tassametro. Nostalgia di “Padova 32”?
«La scelta di rinunciare al taxi è stata dettata da problemi fisici: l’ernia al disco non me l’ha regalata la corsa. Il taxi l’ho dato in gestione. Un tempo non si sarebbe potuto, se non per gravi motivi di salute. Oggi la legge lo consente. C’è stato un periodo intermedio in cui alternavo due lavori: tassista al mattino e il negozio di articoli per il running (Calcaterra Sport, ndr) al pomeriggio. Una volta avviata questa seconda attività, ho abbandonato il volante in via definitiva. Paradossalmente, però, “Il Calcaterra rilassato” era quello del taxi.»

Difficile da credere…
«Relax, per me, significa avere un momento in cui stare solo, in silenzio, a pensare, o dieci minuti per poter telefonare a un amico o leggere il giornale. Nella vita da tassista tutto questo lo si può avere. In negozio si deve sempre essere a disposizione delle persone che entrano, e il “quando” lo decidono loro. Ed è bene che ciò accada, perché vuol dire che, pur con la riduzione di spesa causata dalla crisi, le cose in qualche modo funzionano. Alla fine della giornata, però, il più delle volte mi accorgo che un momento per me non c’è stato. Me ne accorgo mentre sono lì, a negozio già chiuso, che faccio tardi cercando di sistemare le scarpe e tutto il resto. D’altra parte, quale lavoro non crea problemi? Nulla di drammatico, quindi: so bene che non sto facendo, ad esempio, il manovale, il muratore. Sarà che forse non sono ancora tanto bravo, ma fare questo mestiere con la passione e l’attenzione che credo sia giusto metterci mi richiede tanto impegno. Certo, è bello essere a continuo contatto con chi corre, il mondo che amo di più, ho perfino messo in piedi una squadra che prende il nome dal negozio, ma anche quando facevo il tassista, in fondo, ero circondato dalla corsa (ride al telefono, nda): “Che corsa hai preso adesso?”, “Quante corse hai fatto?”, “Com’è andata l’ultima corsa?”».

Come nasce la passione per la “cento”?
«Dal fascino per i numeri tondi: cento e mille sono numeri che solo a pronunciarli ti autorizzano a sognare, per le tante cose che possono contenere.»

La prima volta, allora: avanti con il racconto.
«Avevo diciotto anni. Non ero ancora, sul serio, un corridore. Era estate. Roma era avvolta dal caldo e dal silenzio. I miei famigliari erano in vacanza a Fiumicino, dove avevamo una casa. Partii in bicicletta per andare da loro a prelevare la canoa. Ne avevamo una di quelle che si vedono ogni tanto al mare, non certo da competizione. Caricai la canoa sull’auto di famiglia e mi feci riaccompagnare a Roma, tra lo stupore generale. La calai in acqua all’altezza dell’isola Tiberina, perché in quel punto le rapide del Tevere sono già terminate. Da lì navigai fino quasi al mare. Dico “Quasi”, perché quando ero già in vista della foce venni fermato da una motovedetta della Guardia di Finanza: la Guardia Costiera aveva diramato un allarme per il mare ingrossato e non mi fecero proseguire. Raggiunsi la casa dei miei come potevo, a piedi, con la canoa in spalla, poi ripresi la bicicletta e me tornai a Roma. Anche se, forse, tragitto in auto escluso, non erano proprio cento chilometri, quella, nella mia mente, rimane la prima volta. Perché in una corsa lunga, a piedi o in altro modo all’epoca non mi importava, io vedevo la risposta concreta a un bisogno, che ho sempre sentito, di fare anche qualcosa di speciale, non solo le cose che si fanno tutti i giorni, soprattutto per necessità. “Senti il bisogno di fare qualcosa di epico”, mi viene di solito risposto. Può darsi, ma epico comporta l’essere famoso mentre per me il qualcosa di speciale ha a che fare più con la libertà, il non sentirsi solo un numero o il pezzo di un ingranaggio, almeno qualche volta nella vita.»

Ci concentriamo ora sulle nove vittorie al Passatore: leggiamo cosa avevamo scritto su Correre e vediamo quali ricordi si accendono.
27 maggio 2006: “Due debuttanti, Giorgio Calcaterra (6:45’24”), tassista romano, e Monica Carlin, avvocatessa trentina, firmano una stupenda edizione e irrorano nuova linfa nel movimento delle ultra”.
«Una parola riassume tutto: paura. Paura di non farcela, non solo a stare coi primi, ma perfino di arrivare in fondo. Paura di non farcela che in allenamento mi portò a fare un lungo di 88 km: corsi per 7 ore in un parco, fu davvero dura. Continuavo a sentirmi ripetere: “Tu sei fatto per la 100 km”. Alla fine decisi di togliermi il dubbio e di provare, ma davvero, nella mia testa, c’era l’obiettivo di ogni appassionato che si cimenta con questa distanza immensa: arrivare, poter dire “L’ho finita”. L’averla vinta, da debuttante, mi ha cambiato la vita, perché a quel punto si è creato un legame speciale tra me e questa corsa: tutte le altre 100 km sono gare, il Passatore, invece, è un evento, qualcosa di indescrivibile se non lo si vive da dentro, sulla propria pelle.»

26 maggio 2007 (tempo: 6:49’02”): “Calcaterra è partito subito deciso, seguito dal russo Vishnyagov, che gli ha lasciato l’onere di gestire il passo fino al 40° chilometro, quando il romano se lo è scrollato di dosso sulle rampe che da Ronta conducevano alla Colla.”
«Le difficoltà le ebbi poi in discesa, perché avevo ai piedi un paio di scarpe più leggere di quelle che uso di solito, tanto che, dopo la calata verso Marradi, rivedere la salita mi ha fatto quasi piacere. I dubbi sulle scarpe li ho sempre avuti, confesso. Non ho ancora finito di rispondere alla domanda se nella 100 km sia meglio una scarpa più pesante, ma protettiva, di una più leggera, soprattutto oggi che, anche in poco peso, aziende come la Saucony, che mi sostiene, riescono a inserire tutta la tecnologia che serve per non farsi male.»

31 maggio 2008 (6:37’45”): “Il campionato italiano è stato un assolo di Giorgio Calcaterra”.
«Nella prima parte, diciamo fino alla maratona, è rimasto con me Marco D’Innocenti, un avversario che era già un amico, con il quale avevamo condiviso tante corse. Marco e io eravamo definiti “gli stakanovisti della fatica” per il fatto di fare tante maratone, anche una domenica dopo l’altra. Fu il Passatore più facile, come facili furono, in generale, le mie gare del 2008. Quello fu l’anno migliore dal punto di vista della condizione fisica. Le stesse belle sensazioni che poi ho avuto a Tarquinia (Mondiale 100 km, uno dei suoi tre titoli iridati, ndr): passeggiare per 70 chilometri, godersi il pubblico. Gli ultimi 30, no. A Tarquinia dovetti stringere i denti, ma, ripeto, fu davvero un anno magico».

30 maggio 2009 (6:56’36”): “Poker per Giorgio Calcaterra. Il trentasettenne tassista romano ha centrato la quarta vittoria consecutiva con un tempo superiore di 18 minuti al crono dell’anno precedente… ”.
«Dopo la facilità del 2008, arrivarono le difficoltà. Due settimane prima ero stato colpito da un forte mal di schiena, al punto che, per la prima volta nella mia vita, avevo pensato di farmi fare un’iniezione di antidolorifico prima del via. Poi non l’ho fatto, ma, una volta tagliato il traguardo, camminavo piegato in due, non riuscivo a stare in posizione eretta. Un volontario si sentì in dovere di dirmi: “Ti aiuto a portare lo zaino”.»

29 maggio 2010 (6:51’29”): “Calcaterra rompe gli indugi fin dai primi passi imprimendo alla gara un ritmo insostenibile. Porta a cinque le vittorie consecutive e mette nel mirino il russo Alexey Kononov, titolare dei maggior numero di vittorie in assoluto (sei). C’è chi l’ha già ribattezzato “Il cannibale” richiamando il nomignolo affibbiato a Eddy Merckx.”
«Il cannibale no, non me lo ricordavo. Ero fermo a due soprannomi: il tassista volante e adesso, mi fa vergogna perfino dirlo, Re Giorgio! Come re, proprio, non mi ci vedo.»

E arriviamo alla “madre di tutte le 100 km”: 28 maggio 2011 (6:25’47”): “Impressionante il ritmo imposto dall’atleta romano fin dalle prime battute (3’51” al km la media finale) con un unico contendente in grado di reggere la sfida: l’abruzzese, ex azzurro di maratona, Alberico Di Cecco, all’esordio sulla distanza. Duello gomito a gomito fino a Brisighella (10 km dall’arrivo) quando Calcaterra ha piazzato un allungo irresistibile (quasi 2 km a meno di 3’30” al km).”
«Venivo dall’ernia al disco, quella che, col senno di poi, mi avrebbe portato a rinunciare al taxi. Ero stato fermo sei mesi. Alla vigilia ragionavo confrontando le stagioni: più di una volta, nell’ultimo mese che precede il Passatore, ho inserito la maratona Barchi-Fano come test. È una gara impegnativa, che mi permette di capire tante cose in vista della 100 km. Nel 2008, l’anno d’oro del 6:37’45”, l’avevo finita in 2:21’. In quel 2011, invece, avevo chiuso con fatica immensa in 2:28’. Si trattava di 7 minuti di differenza, che nella 100 km sarebbero diventati con facilità venti minuti. Sì, alla partenza da Firenze ragionavo di valere un tempo al limite delle sette ore. Al via ho però deciso di tirare fuori anche quello che non avevo, perché, quando ti misuri con atleti in quelle condizioni, l’unica possibilità che si ha è superare se stessi, anche se non mi aspettavo di battere il 6:31’ di Ardemagni, un tempo che pensavo fuori dalla mia portata.»

E qui emerge la posizione radicale di Giorgio Calcaterra nei confronti del doping, anche se Alberico Di Cecco, in quel 2011, aveva già finito di scontare la squalifica…
«Ho un problema di fondo: nessuno mi ha mai spiegato cosa resta nel corpo di un atleta dopo l’assunzione di sostanze proibite o l’aver effettuato trattamenti vietati. Cosa resta e per quanto resta. L’idea che mi sono fatto è che i vantaggi che si hanno dal doping restino molto più a lungo del periodo di squalifica.»

Ѐ questo il pensiero che ha guidato alcuni episodi plateali? Penso al rifiuto di salire con Roberto Barbi sul podio della Pistoia-Abetone.
«La storia di Barbi ha rappresentato una delusione anche sul piano personale. Preciso che non siamo mai stati amici, ma quando io ho cominciato a ottenere i primi risultati, i giornali scrivevano “Calcaterra come Barbi”. E il paragone in qualche modo aveva un senso, perché lui, come me, era entrato nell’atletica dalla porta di servizio: niente pista, nessun allenatore. Lui, come me, era uno che si allenava prima o dopo una giornata di lavoro. Ci eravamo incontrati in qualche gara ed era stato gentile, mi aveva dato dei consigli. In qualche modo era un po’ un mio punto di riferimento. Poi, dopo la prima squalifica, era uscita l’intervista su Correre, la sua confessione. Mi colpì, in particolare, quando disse che l’EPO era stata in grado di trasformare un maratoneta da 2:16’, come lui, in uno capace di fare 2:10’ alla maratona di New York, come in effetti aveva fatto. Quel giorno, alla Pistoia-Abetone, aveva di nuovo corso il Barbi da 2:10’ a New York, come fu dimostrato, poco tempo dopo, dall’antidoping.»

26 maggio 2012 (6:44’51”): “Al compimento del quarantesimo compleanno Calcaterra si è regalato un posto nella storia, diventando l’unico atleta ad aver vinto per sette volte il Passatore. L’atleta romano, che solo un mese prima si era laureato campione del mondo della 100 km a Seregno, si è liberato della compagnia di Pietro Colnaghi (poi squalificato per doping, ndr) all’inizio della salita che porta al passo della Colla, portando il ritmo a un livello insostenibile per l’avversario”.
«Pochi sanno che ho rischiato di non partire. La macchina si era rotta in viaggio. L’ultimo pezzo della strada verso Firenze l’ho coperta in scooter, grazie a una persona che mi ha dato un passaggio. Mi sono presentato sulla linea di partenza quando mancavano sette minuti al via.»

26 maggio 2013 (6:39’59”): “E’ cambiato il meteo, ma non il padrone assoluto, Giorgio Calcaterra, che dopo aver lasciato sfogare sull’erta della colla l’ucraino Evgeny Glyva, ha cambiato marcia in discesa e prima di Marradi ha preso saldamente il comando.”
«L’anno più freddo, perfetto, si fa per dire, per i miei ricorrenti problemi di digestione. Ho chiuso davvero in ginocchio, ero pieno di vesciche, e mi ero già pentito del sì detto in partenza all’organizzatore giapponese di un’altra 100 km, in programma sei giorni dopo.»

24 maggio 2014 (7:05’06”): “La nona vittoria di Giorgio Calcaterra è stata anche la più sofferta. Lo prova il tempo finale, per la prima volta al di sopra delle sette ore.”
«Confermo tutto. Non me l’aspettavo proprio di vincere. C’era tutto che non andava, compreso un giudice di gara che ha fatto tutta la corsa accanto a me, su un vespino, per controllare che non mi venissero passati rifornimenti fuori dai punti di ristoro. Ok, va bene tutto, ma gli altri chi li controlla? Ero preoccupato per Glyva, che un mese prima, alla Wings for life world run (la corsa contro il tempo in cui vince chi percorre più strada prima di essere raggiunto dall’automobile che procede a velocità costante, ndr), aveva percorso 7,5 km più di me, anche se lo aveva fatto sul tracciato di Vienna, più scorrevole di quello con cui ho avuto a che fare a Verona. Quando è stato male e si è fermato ero con lui. Avevo 4’30” di distacco dal gruppetto di testa, ma ho ritrovato la voglia di lottare.»

30 maggio 2015…
«Eh, ci risiamo con le domande insidiose (sorride, nda). Tutti a dirmi: “Devi arrivare a dieci”, “Ma perché?”, rispondo io. Mettiamola così: io al Passatore vorrei andarci tutta la vita e se la salute me lo consentirà, lo farò anche quest’anno.»

La coglie mai la paura di perdere?
«Ho ben presente che perderò, prima o poi. Non è davvero un problema, del resto ci sono abituato: alla Roma-Ostia di quest’anno, Kwemoi, quello che ha vinto, mi ha rifilato 10 minuti tondi! Devo, anzi, cominciare ad accettare i cambiamenti del mio corpo e anche quelli della mente. Devo partire dalla considerazione che l’ultimo Passatore l’ho chiuso in più di sette ore e che all’ultimo Mondiale, io che ne ho vinti tre, sono arrivato ottantesimo. Anche se la natura mi ha permesso di dare il meglio di me a trentanove anni, a 43 compiuti da poco (è nato l’11 febbraio 1972) devo accettare che questo è il Calcaterra di oggi. E quando alla mattina mi sveglio, mi viene in mente quando mi allenavo alle quattro e mezza, perché col taxi prendevo servizio alle sei, e mi chiedo: “Oggi ne sarei ancora capace”?

Un sogno nel cassetto?
«Io a cent’anni che faccio la Firenze-Faenza e arrivo entro il tempo massimo: cento il Passatore, cento Calcaterra. Le cifre tonde mi sono sempre piaciute».

Giorgio Calcaterra verso il decimo “Passatore”

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