Quando cede l’arco plantare

Quando cede l’arco plantare

Foto: 123RF

Il cedimento dell’arco plantare è un’evenienza possibile durante il gesto della corsa che, con l’abitudine alla pratica, si perfeziona sempre di più. L’ortopedico Luca De Ponti approfondisce la questione e le soluzioni da mettere in atto una volta accertato il problema.

All’improvviso?

Quella del cedimento dell’arco plantare è una situazione i cui confini sono difficilmente decifrabili. «Dottore, ho la sensazione che l’arco plantare abbia ceduto, vede come il piede ruota verso l’interno». L’atleta di solito è in piedi, con la testa leggermente inclinata in avanti e si guarda le estremità inferiori. Con un piede simula una rotazione all’interno e ruota verso l’interno anche la tibia. Il gesto è molto instabile. Possibile che tutto avvenga così, in poco tempo?

Una presa di coscienza motoria

Chi inizia a correre prende gradualmente coscienza del corpo in un modo nuovo, osservandosi e ascoltandosi come mai prima. Questo avviene progressivamente e la padronanza del gesto cresce in modo naturale. Il fenomeno è spiegabile con un miglioramento delle capacità propriocettive allenate dalla corsa, soprattutto quando gli stimoli cambiano con il mutare dei ritmi e dei terreni. Nella corsa lenta e prolungata questa sensibilità è più amplificata. Il piede è sollecitato perché la muscolatura della gamba lavora meno e i tempi di contatto con il terreno diventano più lunghi, con più possibilità di dare spazio a eccessi di pronazione. Si riescono allora a percepire sensazioni motorie diverse e un piede può cedere di più verso l’interno rispetto all’altro. Una situazione presente anche in passato diventa un qualcosa di nuovo, un disagio reale ma solo ora percepibile. Questa presa di coscienza motoria può essere amplificata da fattori esterni, come l’usura di una scarpa.

Allenamento o infortunio, le concause

Altri elementi, come l’aumento dei chilometri o l’incremento di ripetute in pista, possono essere concause significative al cedimento dell’arco plantare. Anche l’insorgere di un’infiammazione locale come una tendinite achillea o una fascite plantare può aumentare la sensibilità periferica, portando l’atleta ad ascoltarsi e a controllare di più il movimento dei piedi. Un vero e proprio cedimento dell’arco longitudinale mediale si può avere negli esiti di lesione del tendine del tibiale posteriore. Non sono rari i casi di questo tipo. La lesione è accompagnata da un edema in corrispondenza del versante mediale del piede e nelle fasi successive si può correre solo zoppicando. Anche una perdita di tono muscolare dello stesso tendine può collaborare a uno scarso controllo della pronazione, possibile nei casi di inattività prolungata.

Che cosa fare

Una volta stabilito il reale cedimento dell’arco plantare va valutato l’appoggio del piede prima dal punto di vista morfologico ed eventualmente anche da quello dinamico, confrontando eventuali differenze tra i piedi. Se c’è un difetto nell’appoggio nei casi in cui un supporto può risultare determinante la soluzione migliore rimane quella di un’ortesi plantare. Minime alterazioni della dinamica motoria possono essere contrastate dalla scarpa, orientandosi verso modelli che garantiscono una migliore stabilità dell’appoggio, mentre se l’appoggio stesso è davvero deficitario non rimane che pensare a un plantare personalizzato. Le tecniche CAD-CAM permettono in questi casi di uniformare in modo molto preciso i due appoggi. Fino a qualche anno fa il plantare comportava disagi di adattamento dovuti alla rigidità dei materiali, ma oggi l’utilizzo di materiali in EVA a portanza differenziata non pone problemi. Da non trascurare poi gli esercizi propriocettivi, meglio se eseguiti con le tavolette dedicate.

In sintesi

Attraverso la corsa si migliora la sensibilità motoria e, con il tempo, si possono percepire delle alterazioni del movimento prima non evidenti. Questa nuova coscienza può simulare un improvviso cedimento dell’arco plantare che in realtà prima, semplicemente, non era avvertito. Episodi di questo tipo sono da considerare favorevoli, perché un miglioramento della biomeccanica dell’appoggio può evitare una serie di patologie, anche croniche.

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