“Depressione bastarda”: lo sfogo di Bernard Dematteis

“Depressione bastarda”: lo sfogo di Bernard Dematteis

31 Agosto, 2020

Il campione azzurro della corsa in montagna Bernard Dematteis affida ad un post su facebook uno sfogo sul suo delicato momento emotivo

Parole che colpiscono duro affidate a un post su facebook. Parole che aprono uno squarcio di stupore e interrogativi tra i tifosi dei gemelli Dematteis e fra tutti gli appassionati di corsa in montagna.
A scriverle è Bernard, più volte maglia azzurra e protagonista insieme al fratello Martin di numerose imprese sulle cime e discese d’Italia e del mondo.
Il Capitano non è più lo stesso…il Capitano ha perso qualcosa ed io sono stufo di fingere che vada tutto bene o che vada bene lo stesso così” scrive Bernard Dematteis sulla pagina che condivide insieme al gemello.

Sono stanco di nascondere i miei problemi nella vita, come la depressione bastarda di cui soffro da anni e che molto spesso mi distrugge dentro e non mi lascia essere ciò che in realtà sono…sono stanco di far sembrare che il Capitano sia invincibile, perché non è così”.

E poi aggiunge

Nella vita ci sono cose più importanti della corsa anche se per me la corsa è sempre stata tutta la mia vita e continuerà ad esserlo…ma adesso devo provare a cambiare strada e direzione per cercare di ritrovare quella serenità e felicità che avevo e che ho perso da troppo tempo ormai…non so come farò ma ci devo provare!”

Consapevolezze e dubbi sulla sua carriera



Non so quando tornerò a gareggiare e ad emozionare come forse sapevo fare…e non ho scritto tutto questo per essere compatito o per piangermi addosso perché so bene che c’è gente che sta molto peggio di me, ma l’ho fatto perché anch’io in realtà sono soltanto un uomo con tutti i miei difetti e le mie debolezze, ed avevo bisogno di scriverlo…

Non so come potrò riuscire a farlo, e forse non ci riuscirò, ma devo cercare di ritrovare e di riconquistare quello che ho perso per tornare a vivere”.

Parole dure ma appassionate, che colpiscono dritto al cuore e che aprono uno squarcio sul mondo dello sport dove, spesso, la depressione è purtroppo un’ombra che si allunga tra le pieghe di una vita fatta di allenamenti, sacrifici e incognite sul futuro. Un turbamento che colpisce anche gli sportivi di altissimo livello, quelli costantemente sotto i riflettori e attorno ai quali ruotano interessi mediatici ed economici.

Abbiamo lasciato sedimentare qualche giorno questo sfogo che ha colpito noi come l’intero movimento ed ora proviamo ad affrontare questo delicato tema insieme a Pietro Trabucchi, psicologo dello sport e Fulvio Massa, preparatore atletico entrambi con un ampio bagaglio di esperienza diretta su atleti di ogni livello, dall’amatore al professionista.

Pietro Trabucchi, psicologo dello sport: la depressione nello sport è un tabù

«Mi ripugna sempre interpretare o giudicare situazioni che non conosco direttamente; e quindi non chiedetemi di fare il tuttologo o di dare spiegazioni sul come, il perché o il “per come”. Mi pare giusto, invece, fare semplicemente un paio di considerazioni di ordine più generale. La prima è che la depressione nel mondo sportivo è ancora un tabù. Non se ne parla volentieri, e si fa finta che non esista, anche se lentamente qualcosa sta cambiando. Per darvi la misura di quanto sto dicendo vi basti pensare ai ponderosi manuali operativi sugli interventi in psicologia dello sport editi negli USA (parlo degli USA perché in Italia non abbiamo ancora una letteratura specialistica paragonabile). Fino a qualche anno fa prendevano in considerazione tutte le problematiche possibili su cui lo strizzacervelli poteva dover intervenire; c’era l’abuso di dopanti, c’era alcolismo, l’overtraining, c’erano i disturbi alimentari… ma della depressione dell’atleta non c’è traccia. Non era proprio contemplata. Perché non se ne voleva parlare.  Invece sono tanti gli sportivi che ne hanno sofferto. E in modo trasversale, senza essere per forza accomunati da qualche caratteristica specifica: perdenti e vincenti, fortunati e sfortunati, famosi (anzi, famosissimi) e sconosciuti.

Tutto questo – se ci pensiamo bene – è ovvio: perché l’atleta professionista è un essere umano come gli altri, anche se a noi piace idealizzarlo. E come tutti gli esseri umani è soggetto alle vicende della vita, ricerca la felicità, ha bisogno di trovare un senso in quello che vive. Con una aggravante in più rispetto all’uomo (perdonatemi per l’infelice aggettivo) “comune”: quella di avere compiuto una scelta di vita radicale – quella di giocare un gioco che è come una metafora della vita quotidiana. Ma dove ogni avvenimento -piccolo o grande, felice o infelice che sia- avrà un impatto enormemente amplificato».

Fulvio Massa, preparatore atletico

Fulvio, ci continuano a dire che la corsa fa bene al fisico ma soprattutto alla mente, che correre è un ottimo antidoto per gli stati emotivi fragili, che serve a combattere ansia e depressione. Poi leggiamo le parole di Bernard…

«Tutti gli appassionati di running devono essere consapevoli del fatto che la corsa è vissuta e interpretata in maniera molto differente a seconda che venga praticata a livello ludico amatoriale oppure venga affrontata ai massimi vertici.

Le differenze non sono solo in termini di impegni fisici ma dobbiamo considerare che l’atleta di élite subisce delle pressioni importanti che non sempre riesce ad assorbire adeguatamente.

Questi stress portano inevitabilmente a modificare totalmente la vita privata dell’atleta, a creare delle rinunce e a subordinare alla corsa tante situazioni che fanno parte della vita reale, lavorativa e familiare».

Alla base ci possono quindi essere dei rimpianti causati da una serie di rinunce?

«Facciamo alcune distinzioni: non c’è la minima proporzione tra i guadagni di un atleta di élite di uno “sport povero” e quelli di uno “sport ricco”

Un calciatore professionista di elevato valore sa che se appendesse le scarpe al chiodo a 30 anni di età potrebbe vivere di rendita per il resto della sua vita ma un atleta élite di corsa in montagna si rende conto nel corso della sua carriera che al passare degli anni i sacrifici sono sempre più importanti, gli sforzi sempre più intensi e risultati sempre più difficili da raggiungere e si accorge che tutto questo oltre a non averlo ripagato economicamente gli ha sottratto tanto della vita reale.

Non sempre ci sono le giuste proporzioni tra le soddisfazioni personali ed emozionali derivanti dalle vittorie e i rimpianti degli altri aspetti della vita che si sono lasciati per strada

Il momento dei bilanci ad un certo momento della carriera di un atleta deve arrivare e a volte le chiusure sono in positivo altre sono in negativo».

Come spieghi lo sfogo di Bernard Dematteis?

«Le dichiarazioni di Dematteis devono far riflettere sia gli atleti sia tutti coloro che gravitano intorno ad essi e devono fare tornare l’attenzione sulle priorità che dobbiamo cercare nel corso della nostra vita».

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