Faceva caldo quella sera a Spalato. Era il 1990. Gli Europei avevano trovato casa nell’ex Jugoslavia, pochi mesi prima che una guerra fratricida la insanguinasse per anni.
I prodromi si erano manifestati addirittura durante la cerimonia d’apertura con fischi alla nazionale slava. L’Italia d’allora aveva delle punte di caratura mondiale, leggi Antibo, Panetta, Di Napoli, Mei che fecero man bassa di medaglie.
Era ormai buio nello stadio di Poljud. All’inizio di settembre le giornate si erano accorciate. Sulla pista, anzi sulla pedana dell’impianto della città adriatica l’attenzione era catalizzata dai lanci dell’inglese Steve Backley nel giavellotto. Molti inviati si erano affannati a scrivere battendo sulla tastiera delle loro macchine per scrivere portatili, la facilità del lancio del britannico: l’attrezzo che era stato sostenuto in quota da un leggero vento contrario e via dicendo.
Poi, quasi all’improvviso è comparsa lei, Annarita, piccola, leggera, un soffio di vento, sfiorava la pista con i suoi passettini, entrò nello stadio sbucando dal boccaporto, aiutata da una squalifica delle avversarie, era esile, ma dal suo modo d’incedere, si capiva che aveva grinta, voglia, fame di successi di vittorie.
Era la gara dei 10 km di marcia, allora non si sapeva nulla, o quasi, di ciò che accadeva fuori dallo stadio, poi il sottoscritto, come tanti altri peones, stazionava in “zona mista” e faceva a botte per intervistare i protagonisti delle gare. Un fulmine a ciel sereno. Ma che lampo! Fu una festa, la sera a Casa Italia che aveva trovato alloggio attorno al chiosco in un’antica abbazia sconsacrata.
Lei con il suo sorriso, con la sua semplicità contagiò tutti. Era poco più che una bambina aveva 21 anni, quella settimana, lei siciliana di Gioiosa Marina, come Totò Antibo raccolse infiniti consensi.
Venne poi Atene sette anni più tardi, questa volta in pista, in altre parole alla vista di tutti vinse l’oro, e l’anno successivo con Betty Perrone e Erica Alfridi costituirono un trio d’archi quasi imbattibile. Annarita Sidoti e Erica Alfridi si misero al collo rispettivamente l’oro e l’argento. Un’altra giornata indimenticabile.
Anna Rita è mancata il 21 maggio dopo aver cercato di sconfiggere il male del secolo, lottando contro di esso per anni. Aveva solo 45 anni! Ricordarla per la federazione, lei che è mamma di tre bambini può sembrare quasi un obbligo. Non vuole esserlo, solo un invito, fatto in punta di piedi, come sono soliti fare gli amici della marcia, usando l’arma della discrezione, anche perché mi sa che un certo Pietro Paolo che l’ha preceduta comincerà a pensare di allestire qualcosa di atletico tra una nuvola e l’altra della volta celeste.