Fallisce il tentativo di Jim Walmsley di stabilire la migliore prestazione mondiale sui 100 km. Il trentunenne chiude in 6h09’26”, 12 secondi in più del limite fissato da Nao Kazami nel 2018, prestazione che gli vale comunque il record americano all time sulla distanza.
Sull’onda cavalcata da Nike e Salomon, anche Hoka OneOne, il brand nato dall’esperienza condivisa di Jean-Luc Diard e Nicolas Mermoud ad Annecy, ha messo in atto il lancio promozionale di una scarpa da running, attraverso un evento sportivo-mediatico di alto richiamo: il tentativo di stabilire la migliore prestazione mondiale sulla distanza dei 100 km.
L’attore scelto per questa speciale e alquanto ardua impresa non era un atleta qualunque, anzi si potrebbe dire che di questi tempi, nessuno meglio di Jim Walmsley dall’Arizona, poteva approcciare una simile sfida.
Walmsley che vanta personali di tutto rispetto, a partire dalle distanze canoniche in pista: 3.48.16 sui 1500 – 13.52.87 sui 5000 – 29.08.88 sui 10000 e un 2h15’05” sulla maratona ottenuto ad Atlanta nel 2020 come prova della selezione olimpica statunitense.
La sfida
La nuova sfida prevedeva di scendere sotto il limite mondiale attuale di 6h09’14” stabilito dal giapponese Nao Kazami nel 2018. Teatro dell’evento che vedeva al via un nutrito numero di atleti, oltre a Walmsley, altri 39 ultrarunners di livello internazionale, un circuito sulle strade di Phoenix.
La condotta di gara che ha tenuto Jim Walmsley è stata precisa e in linea perfetta con il record di Kazami, fin dai primi chilometri. Lo dimostrano i passaggi agli intermedi: 18’28” ai 5 km – 1h13’54” al km 20 – 2h27’22” al km 40 – 3h04’15” a metà gara. Lo split negativo di soli 54 secondi tra i primi 50 chilometri e gli ultimi dimostrano che l’evoluzione atletica di questa disciplina, interpretata magistralmente da Walmsley, è sintomo di assoluta qualità. Risultato finale?
Purtroppo tutti avremmo voluto vedere le braccia al cielo dell’americano e il tabellone elettronico segnare il nuovo NEW WORLD RECORD, ma abbiamo sofferto con lui quegli interminabili ultimi cento metri in cui le sue gambe sembravano volare sull’asfalto, fermandosi solo dopo la finish line, mentre il display, inesorabile, segnava 6h09’26”. 12 maledetti secondi in più.
Le sue lacrime sono state le lacrime di tutti quelli che hanno seguito l’evento in diretta streaming, ma certi del fatto di non essere stati testimoni di una sconfitta, ma piuttosto di un’impresa sfiorata. La prestazione gli vale comunque il record americano all time sulla distanza, che in precedenza apparteneva a Max King (2014) con 6h27’44”. La media di finale di 3’41” al km la dice lunga…
Per onore di cronaca va detto che hanno concluso alle spalle di Walmsley con ottimi tempi anche l’americano Pannu (6h28’31”), Kris Brown (6h39’14”), lo svedese Johan Lantz (6h48’32”), lo svedese Elov Olsson (6h48’46”) e l’americano Craig Hunt (6h55’42”).
La carriera
Il trentunenne Walmsley è balzato agli onori della cronaca sportiva americana e mondiale per quello che è riuscito a mettere in campo sulle lunghe distanze, tanto da essere nominato UltraRunner of the Year per quattro anni consecutivi: 2016, 2017, 2018 e 2019. Aveva inoltre già stabilito una migliore prestazione mondiale non ufficiale per la distanza delle 50 miglia (che non è una distanza mondiale riconosciuta dalla IAU), completandola in 4h50’07” (battendo di 14 secondi il precedente record di Bruce Fordyce che resisteva da ben 36 anni). Detiene il record assoluto della Western States (100 miglia) con 14h09’28” e un personale sulla 100 km datato 2019 di 6h55’24”.