Non appena in montagna si accumula qualche centimetro di neve, è facile che anche un podista appassionato si faccia prendere dall’entusiasmo e frequenti di più i prati innevati che non le strade.
Sciare aumenta la forza delle gambe, ma fa perdere efficienza; preserva i piedi, ma riduce la capacità d’appoggio. Pro e contro di un connubio che nel mondo del running è più diffuso di quanto si pensi.
Sciando si andrà incontro a un maggiore appesantimento muscolare che, se da una parte fa migliorare nella fase di spinta, dall’altra farà avvertire una spiacevole sensazione di baricentro molto basso e gambe imballate.
Sciare può essere un investimento in funzione delle prestazioni podistiche primaverili: aumentando la forza, l’azione meccanica diventerà più efficace e redditizia, effetto che però decade nel tempo.
Un altro aspetto sfavorevole è il decadimento dell’efficienza meccanica. Nella prima uscita podistica dopo una sciata diventa così fondamentale curare la tecnica di corsa, per esempio con numerosi allunghi brevi (100 m).
Dal punto di vista organico, correre è più dispendioso: un chilometro di corsa equivale a circa due di sci di fondo intenso in pianura. Anche l’impatto col terreno è nettamente diverso. Un podista che in inverno pratica solo sci, perde la capacità dei muscoli di assorbire le forze di carico “negative” che si generano nella fase di contatto delle gambe con il terreno.
Corsa e sci nordico sono quindi attività che si combinano bene perché il sistema fisiologico sollecitato è lo stesso: quello aerobico. Lo sci di fondo può essere sicuramente inteso come una disciplina alternativa alla corsa, sapendo però che le prestazioni podistiche un po’ ne risentiranno.
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