Catherine Bertone: tutto quello che non si dice in giro

Catherine Bertone: tutto quello che non si dice in giro

09 Luglio, 2016

Per strappare la convocazione finale ai Giochi Olimpici, a Catherine Bertone è stata chiesta una prova di efficienza alla mezza maratona dei Campionati europei. Domenica mattina ad Amsterdam Catherine, medico pediatra specializzata in malattie infettive giocherà le sue chance.

Intanto ecco alcune curiosità che la riguardano e che non corrispondono esattamente a quel che si dice in giro. Su Correre di luglio un ampio reportage sull’atleta con l’intervista e le foto di Francesca Grana, l’intervento di Giorgio Rondelli e i contributi di Danilo Mazzone, Walter Corbelli e Filippo Fasolato.

#1 Non una conversione dalla corsa in montagna Primi appunti: Catherine Bertone non è una scalatrice della corsa in montagna convertita alla maratona. È esattamente, semplicemente, il contrario. Spulciate le graduatorie: in quante classifiche di quanti Campionati italiani di specialità la troviamo? Nel 2014 partecipò sotto il diluvio alla prova di Oncino (CN), dove finì decima e soddisfatta, ma venne squalificata per non aver fatto la spunta prima di partire. Partenza per altro anticipata a sua insaputa, mentre era in macchina con la figlia minore alle prese con la febbre alta. Ai Mondiali di corsa in montagna lunghe distanze di Zermatt 2015 (Svizzera) e di Manitou Springs 2014 (Colorado, USA) andò forte, è vero, ma perché si era allenata sperando di vestire la maglia azzurra di maratona. Giriamo per Aosta e Catherine mi indica le creste circostanti, descrivendole a suon di gare cui ha già partecipato o vorrebbe, prima o poi, iscriversi. È vero. Ma in quanti dei fortunati nati all’ombra di queste montagne resisterebbero alla tentazione di testare la propria tenuta arrampicandosi fino in vetta? «Davvero non preferisci la pianura? Pensa che a tanti dei miei colleghi meridionali questo panorama circoscritto mette angoscia!» si stupisce la podista Bertone.

#2 L’ennesimo “Fenomeno Straneo”? Catherine Bertone non è la vice Straneo, esplosa a 35 anni suonati dopo aver risolto un problema di salute. È che fino al 2011 era una donna cui piaceva correre pur senza rinunciare ai diversivi offerti dalla montagna, alpinismo e sci di fondo in primis. «Poi a un certo punto ho deciso di smettere con tutto il resto, probabilmente anche perché, da mamma di due bambine, non mi sentivo più tranquilla a passare i weekend in quota, scarpinando su crinali esposti. In tanti mi chiedono perché non mi dedichi semplicemente alla corsa in montagna, liberandomi dall’ossessione del cronometro, ma il fatto è che mi diverto ancora e penso di avere ancora qualcosa da esprimere.» Da quando si dedica unicamente all’atletica il progresso è stato costante: 2:36’00”a Berlino nel 2011; 2:34’24” a Francoforte nel 2013; 2:32’46” a Torino nel 2014, nel ventennale della sua prima maratona; 2:30’19” a Rotterdam lo scorso aprile. Nel mezzo, il 2:39’19” con cui ha conquistato il titolo italiano a Ravenna del 2015, in piena fase di carico. 

#3 Le mancate esperienze in maratone “istituzionali” La mancanza di esperienza in maratone istituzionali, più volte rimarcata dal DT della Nazionale italiana Massimo Magnani, non è certo una colpa di Catherine o di pecche nel suo percorso di avvicinamento ai grandi appuntamenti internazionali. La sua assenza dai Mondiali di Mosca 2013 e Pechino 2015, oltre che dagli Europei di Zurigo 2014, è stata il risultato di una scelta tecnica, in quanto, a dire di Magnani, la rosa azzurra poteva contare su un parterre di altre 7-8 maratonete migliori di Catherine, con le quali era già stato imbastito un programma di avvicinamento alle Olimpiadi di Rio de Janeiro.

#4Valdostana sì, ma non solo Catherine Bertone è nata a Bursa, in Turchia, il 6 maggio del 1972. Lo sapevate? E che dai 2 agli 8 anni avesse vissuto in Brasile, a Belo Horizonte? Forse da qui il desiderio (sinora) inappagato di trascorrere un periodo lavorativo medio-lungo aiutando i bambini del terzo mondo. Papà italiano, ex dipendente Fiat, e mamma francese, Catherine beneficia della doppia cittadinanza… chissà che i colleghi transalpini non sarebbero stati meno schizzinosi nell’affiancare una coetanea alla campionessa europea Christelle Daunay (classe 1974). A completare il pot-pourri internazionale, i genitori si sono conosciuti nel 1965 nello Yemen del Sud e il fratello maggiore, Silvio, tre volte azzurro della 100 km, è nato ad Atene nel 1967. Bisogna aspettare il 1980 per il rientro in Italia della famiglia Bertone, per la precisione a Torino, casa base del colosso automobilistico italiano, dove i genitori tuttora risiedono. «Correre è una mia passione innata. Mi offrivo sempre volontaria per le piccole commissioni familiari: uscivo di casa correndo e facevo scattare il cronometro per provare ogni volta a tornare più velocemente. I vicini probabilmente mi prendevano per pazza, vedendomi sfrecciare a tutta velocità senza motivo!»

#5 La testa prima delle gambe Nel 1991 Catherine inizia l’università iscrivendosi alla facoltà di Medicina di Torino e nel 1992, a causa dell’impegno richiesto dagli studi, sospende l’attività agonistica. Nel 1994 partecipa, un po’ per scherzo e un po’ per scommessa, alla sua prima maratona, conclusa sulle strade di casa in un anonimo 3:30’. Nel 1996 la laurea, dopo stage medici lavorativi in Romania e in Svizzera. Nel 2000 ottiene la specializzazione in malattie infettive e si trasferisce prima a Londra e poi a Parigi, dove aveva scritto la tesi di specializzazione dedicata al trattamento dell’HIV pediatrico e trova impiego presso un centro specializzato in oncoematologia infantile. Ma i ritmi e la vita di un grande ospedale e di una metropoli non fanno per lei e così, spulciando le offerte di lavoro tra le pagine di un quotidiano, approda a Biella, dove rimane dal 2002 al 2004 e, guarda caso correndo, conosce il marito, Gabriele Beltrami. Escludendo di tornare in una grande città, nel 2004 i due si trasferiscono ad Aosta, dove Catherine lavora tuttora come medico pediatra.

#6 Fa la maratona perché non è veloce A diciott’anni Catherine correva gli 800 m in 2’13”, allenandosi solo 2-3 volte a settimana. Provateci voi a chiudere due giri di pista consecutivi poco sopra i 66”! Altro che tapasciona dedita alla maratona per mancanza di alternative! Prima di approdare all’Atletica Sandro Calvesi, la Bertone aveva vestito i colori dell’Atletica Murialdo Rivoli e della Sisport Fiat. «Quando mio padre ci prospettò il terzo trasloco all’interno della stessa Torino, accettai solo perché mi disse che vicino alla nuova casa sarebbe sorta una pista d’atletica. Non ne potevo più di cambiare scuola e abbandonare gli amici, ma la prospettiva di potermi finalmente iscrivere a una squadra d’atletica fu una lusinga sufficiente!» ricorda la Bertone. «La Sandro Calvesi è tra le società leader a livello Master, è vero ma, prima di militare tra le Over 35, forse ho ancora un po’ di tempo per divertirmi a livello “assoluto”, cosa dite?» sorride la quarantaquattrenne Catherine mentre la inseguo sulla ciclabile che costeggia la Dora.

#7 L’esclusione non sarebbe un dramma «Nella vita è tutto molto relativo» ripete la dottoressa. «Se non mi dovessero convocare per le Olimpiadi di Rio de Janeiro non ne farei un dra
mma. I problemi veri sono altri, come comunicare a una coppia di genitori che il loro figlio è deceduto o che gli è stata diagnosticata la leucemia. Per me la corsa rimane essenzialmente divertimento: se arrivo esausta dopo una giornata di lavoro, basta mettermi le scarpette e mi sembra subito di avere le gambe più leggere
.» «Correre è l’unico momento che dedico tutto a me stessa: per quell’ora e mezza evito addirittura di portarmi dietro il cellulare, a meno che non debba essere reperibile. Tanto è talmente vecchio che non farebbe gola a nessun ladro – scherza Catherine –. Quando non ho altro momento per allenarmi se non alle 6 del mattino, spesso apro gli occhi già un’ora prima per paura di non sentire la sveglia e saltare quell’appuntamento. A parte i rapporti con le persone cui voglio bene, correre è ciò che mi fa stare meglio e mi emoziona di più… anche se cerco di non diventare monotematica come alcuni colleghi atleti conosciuti ai raduni!»

L’intervista di Francesca Grana prosegue su Correre di luglio

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