Abbiamo incontrato l’attore Michele Riondino, che nella miniserie in onda su Rai 1 veste i panni della Freccia del Sud. Un ruolo non facile, costruito grazie a un intenso lavoro di ricerca e allenamento.
Andrea Schiavon che lo ha intervistato per Correre (numero di marzo), ha riassunto la lunga chiacchierata in otto lettere: rispetto. Tutto ruota intorno a questa parola. Riondino si è avvicinato in punta di piedi a un’icona dello sport italiano, ha cercato di ricostruirne il cammino e di mettere in scena un personaggio che non fosse né un’agiografia né una caricatura.
L’interprete del giovane Montalbano a suo tempo aveva ereditato da Luca Zingaretti il non facile compito di impersonare il poliziotto più letto e visto d’Italia. Stavolta l’impresa appariva ancora più impari: qui non si trattava solo di metterci la faccia, ma pure le gambe. E che gambe: quelle del signor 19”72, l’uomo che per quasi vent’anni ha rappresentato l’orgoglio di un’Italia più veloce del resto del mondo.
«Il risultato potrà piacere ad alcuni e non piacere ad altri, è inevitabile – premette l’attore, che con Pietro Paolo Mennea condivide anche le origini pugliesi (lui di Taranto, il velocista di Barletta) –. Lavorarci è stato molto coinvolgente. Raramente metto me stesso nei personaggi che interpreto, ma stavolta è stato diverso: più mi sono calato in Pietro, più ho trovato analogie e affinità tra il suo percorso di atleta e il mio di attore. E poi forse era destino che, prima o poi, io interpretassi uno sprinter…».
Un talento mancato dell’atletica?
«No, le mie uniche esperienze dirette in pista risalgono ai Giochi della gioventù. Il legame con la velocità risale ai miei esordi a teatro: con la mia prima compagnia, il Circo Bordeuax, portammo in scena Cento, una serie di dialoghi tra un centometrista e lo starter. Stavolta sono andato oltre, arrivando ai 200 m.»
E fisicamente com’è stata la preparazione per impersonare Mennea?
«Sin dall’inizio con la produzione abbiamo fatto una scelta ben precisa: io non somiglio a Pietro, quindi abbiamo rinunciato a trucchi e protesi per rendere il mio volto più simile al suo. Non sarebbero stati credibili e le scene di corsa sarebbero diventate un inferno con parrucche, menti finti e cose simili.»
Già, la corsa. Per quella come ha fatto?
«Mi sono allenato per due mesi con un tecnico della Nazionale italiana, Roberto Piscitelli, prima allo stadio dei Marmi e poi alla Farnesina, sempre a Roma.»
È stato più difficile entrare nella testa o nelle gambe di Mennea?
«Con tutti i ciak che facevamo, ogni scena diventava una serie di ripetute… Pietro però, oltre che le gambe, aveva anche una personalità da record del mondo. Per riuscire a coglierne tutti gli aspetti per me è stato prezioso potermi confrontare con sua moglie, Manuela. Parlare con lei mi ha permesso di andare oltre a tanti luoghi comuni sul suo carattere.»
L’intervista completa a Michele Riondino realizzata da Andrea Schiavon è pubblicata sul numero di marzo di Correre.