Una domanda che spesso i podisti rivolgono al nostro direttore Orlando Pizzolato è relativa all’appoggio del piede: deve avvenire di pianta o tallone? Proviamo a rispondere coi risultati di uno studio della IAAF (International Association of Athletics Federations) realizzato in occasione dei Campionati mondiali di atletica leggera.
I talloni dei top runner
I ricercatori hanno analizzato i maratoneti di Londra 2017, gara vinta da Geoffrey Kirui in 2:08’27” e nella quale Daniele Meucci si piazzò sesto in 2:10’56”. A ognuno dei 4 giri in programma, i maratoneti sono stati filmati con 2 telecamere per un tratto di 25 m e sono stati poi analizzati molti parametri fisici che hanno consentito un’approfondita analisi della loro meccanica di corsa.
Per completare la distanza in meno di 2:09’, il vincitore Kirui ha corso alla media di 3’02”/km, quindi a una velocità di poco inferiore ai 20 km orari. Per muoversi a questa andatura, Kirui ha tenuto una frequenza di 186 passi al minuto. L’inglese Hawkins (4° in 2:10’17”) invece ha corso a 3’05”/km, conservando una cadenza ben più elevata: 194 passi al minuto. La frequenza di Meucci è stata di 188 passi al minuto.
A queste velocità il tempo di appoggio a terra è piuttosto breve, cosa che può far pensare a una corsa molto reattiva ed elastica e quindi a un contatto del piede al suolo sulla sua parte mediana, o addirittura di punta. Invece non è stato così: si è visto che dei 71 corridori in gara il 67% appoggiava di tallone, il 30% di mesopiede e solo il 3% di avampiede. I primi 4 classificati (di cui 3 africani), così come il settimo, hanno sempre avuto un appoggio di tallone, dal primo al quarto passaggio davanti alle telecamere. Solo il quinto classificato e il sesto (Meucci) hanno mantenuto un contatto a terra di mesopiede per tutta la maratona.
Sempre sulla prima metà
Fa quindi effetto osservare come spesso si invitino gli amatori a concentrare le proprie energie e attenzioni sull’avere una corsa con appoggio di mesopiede o di avampiede per poi scoprire che i runner più forti, come i partecipanti a un Mondiale, non mettono in atto la teoria che si crede essere la più corretta.
È quindi corretto insistere su un tipo di appoggio che non sia di tallone? Io credo di sì, perché può essere vantaggioso sotto l’aspetto meccanico e sfruttare le forze che le strutture elastiche (arco plantare longitudinale e anteriore, oltre alla fascia plantare) accumulano in fase di caduta e contatto a terra.
Consigli pratici
Se il gesto non ci viene automatico, il primo consiglio è ripeterlo spesso. I lavori ottimali per migliorare la meccanica del contatto dei piedi a terra sono quelli che durano poche decine di secondi, specialmente gli sprint in salita, gli allunghi, l’interval training e le ripetute brevi.
Nota: Questo testo rappresenta una sintesi del servizio “Per un appoggio ideale”, di Orlando Pizzolato, pubblicato su Correre n. 415, maggio 2019 (in edicola a inizio mese), alle pagine 22-24.