Ospite d’onore della Masterclass di Correre, Orlando Pizzolato, il “papà” delle famose tabelle d’allenamento, tra i primi in Italia ad allenare amatori, ha raccontato in un’intervista tecnica come si adattano e si modificano i lavori con l’obiettivo di permettere all’atleta di superare le difficoltà.
C’è la teoria dell’allenamento, che pur evolvendo fornisce agli allenatori delle regole guida per preparare gli atleti. Poi c’è la capacità dell’allenatore di aggiustare quei principi generali “addosso” al proprio atleta, come fa un sarto bravo quando deve confezionare un abito su misura.
Il tutto procede su binari abbastanza consolidati quando si tratta di allenare un giovane adulto o un ragazzo, ma quando l’età dell’amatore avanza, ecco che il compito dell’allenatore si fa più complicato, perché spesso il corpo, ma ancora più spesso la mente, trovano quello sforzo insormontabile. Occorrerà allora cambiare profondamente la seduta per ottenere uno stimolo fisiologico analogo a quello dell’allenamento previsto dal programma.
«Lavorare, ad esempio, sulla soglia anaerobica può funzionare bene con gli atleti di buon livello, mentre sull’amatore il miglioramento è minimo, proprio per la difficoltà di sopportazione della risposta fisiologica che avverte dentro, generata da quel lavoro. Conviene, allora, trattare l’amatore da “corridore non talentuoso”, proponendogli una modalità di lavoro alternativa» aveva spiegato Pizzolato nel suo intervento alla Masterclass di Correre (Milano, 2 dicembre).
Le alternative alla corsa media
Pizzolato ha portato alcuni esempi di adattamento in base alla conoscenza di una persona. Un esempio importante lo ha proposto parlando del “medio” (o “corsa media”), probabilmente l’allenamento più odiato, perché sofferto mentalmente, dai podisti anche in ottima condizione: «Una soluzione simile l’ho applicata poi anche sul fondo medio, altro “scoglio” degli amatori, perché se chiedo di fare, ad esempio, 15 km a 4’30”/km, devo avere di fronte un podista fortemente concentrato e motivato, anche perché alla fine viene fuori un’ora e dieci di lavoro; seguivo poi anche una signora che aveva l’obiettivo di chiudere la maratona in più di quattro ore. Come avrei potuto chiederle 15 km al suo ritmo di fondo medio? Anche in quel caso la soluzione è stata frazionare andando a individuare quale fosse la pausa più breve per riprendere fiato, poco meno di un minuto: 15 volte un chilometro con ogni volta quasi un minuto di intervallo. Dal punto di vista fisiologico, credetemi, non cambia niente, perché la frequenza cardiaca non si abbassa di tanto (e per questo parlo di “pausa” e non di “recupero”), si tratta solo di allentare lo stress mentale e ridurre lo sforzo fisico ottenendo sostanzialmente lo stesso stimolo fisiologico e anche un risultato in più rispetto agli allenamenti continui di medio o anche di lungo: l’efficienza meccanica deve mantenersi buona, perché se faccio correre un lento di un’ora a un uomo di 70 anni, per quanto allenato possa essere è inevitabile che la sua azione di corsa (che dipende anche dalla forza) scada; chi lo guarderà correre noterà che trascina i piedi e non alza più le ginocchia. Con la soluzione della corsa frazionata, invece, questo decadimento non si verifica o si verifica meno.»
Nota: Questo testo rappresenta una sintesi del servizio “Conoscere la persona per migliorare il runner”, ricavato dall’intervento di Orlando Pizzolato alla Masterclass di Correre (Milano, 2 dicembre) e pubblicato su Correre n. 471, gennaio 2024 (in edicola da inizio mese), alle pagine 24-26.