Con un 2,36 m saltato alla prima prova Gimbo conquista l’unico titolo che ancora gli mancava. Argento Harrison, bronzo Barshim. Record italiano di Ayomide Folorunso nei 400 a ostacoli (53”89). Passano bene il turno gli ottocentisti Barontini e Tecuceanu, non decolla il disco di Daisy Osakue (dodicesima). Subito eliminato Mauro Re (400 piani).
A distanza di un anno da Eugene 2022 Gianmarco Tamberi pareggia il conto con l’appuntamento iridato: a Budapest conquista quel titolo mondiale che ancora mancava alla sua incredibile carriera: campione olimpico (Tokyo 2020-2021), Europeo ( Amsterdam 2016 e Monaco 2022), mondiale ed europeo indoor (Portland 2016 e Glasgow 2019). Il tutto accade alla misura di 2,36 m, quando è appena uscito di scena (bronzo a 2,33) il suo collega campione olimpico Mutaz Barshim, incappato nella più fallosa gara della propria carriera. Rimangono quindi in due a spartirsi la vittoria: l’azzurro supera 2,36 al primo tentativo mentre lo statunitense JuVaughn Harrison ha bisogno di due ingressi in pedana.
Una gara indimenticabile
La finale di Tamberi comincia con un errore a 2,25 m, imitato da Barshim. A questa misura si conclude la gara di Marco Fassinotti, dodicesimo con 2,20 m alla seconda e tre nulli a 2,25 m. L’asticella sale a 2,29 m con Tamberi che va a segno alla prima prova. Sette atleti a quel punto restano in gara: Harrison e Woo, ancora senza errori, superano 2,29 m alla prima e con loro ci riescono anche Barshim, Tamberi e Potye, e con errori anche Zayas e McEwen. La sfida entra nel vivo: Tamberi riesce a centrare subito il bersaglio anche a 2,33 m salendo al secondo posto provvisorio. Avanti anche Harrison, Barshim e Zayas alla prima, Potye alla seconda. Per le medaglie diventa decisiva la misura di 2,36 m: sbaglia Barshim, sbagliano gli altri al primo tentativo. Nelle mani di Tamberi c’è un possibile match point ed è favoloso il salto dell’azzurro, che supera 2,36 m alla prima prova, una misura che non valicava dalla finale di Tokyo (2,37 m). Risponde lo statunitense JuVaughn Harrison, ma, come ricordato, al secondo ingresso in pedana, per l’argento.
Tamberi:
Al microfono RAI di Elisabetta Caporale, Tamberi sottolinea il ruolo della squadra con cui ha lavorato da quest’inverno: «È una sensazione unica riuscire a battere atleti che sembrano superiori. Prima della gara ho fatto un ottimo riscaldamento, uno dei migliori della mia vita, e avrei potuto solo distruggere tutto con la mia testa. Conosco gli avversari, sapevo che poteva servire più di 2,38 m per vincere. Ho cercato di essere me stesso in pedana, di rimanere concentrato, e a 2,36 mi sono reso conto che era un possibile match point. Se c’è un’opportunità, devi mettercela tutta. Mi sento ripagato di tutti i sacrifici fatti, so quanto ho investito nel mio team e questo non è uno sport individuale, se c’è un lavoro di squadra che richiede tanta dedizione. Quando si cambia guida tecnica dopo dodici anni si esce dalla comfort zone e la paura è tanta, mi sono caricato di tante responsabilità. Mio papà Marco mi ha insegnato a saltare, quello che ho fatto oggi è anche grazie al percorso condotto insieme a lui. Non è stato facile separarmi da lui, digerire un cambiamento del genere, non ci parliamo da tanto tempo, ma è merito anche di quello che mi ha insegnato. Devo ringraziare Giulio Ciotti e Michele Palloni per come si sono approcciati a questa nuova sfida, un team affiatatissimo».
Folorunso: finale e record italiano
La festa per l’oro di Tamberi manda in secondo piano la magica serata di Ayomide Folorunso, che nella semifinale dei 400 a ostacoli è quarta, accede alla finale e stabilisce il record italiano con 53”89, abbassando di 33 centesimi il già suo limite nazionale, fermato agli Assoluti di Molfetta con 54”22. È la prima azzurra della storia in finale ai Mondiali, ma anche la prima sotto i 54 secondi. Rebecca Sartori, invece, non riesce a ripetere l’eccellente prestazione della batteria: è ottava in 55”98 all’indomani del 54”82 con cui aveva migliorato il personale. Nella seconda semifinale abbiamo assistito all’ennesima “passeggiata” in 52”95 per l’olandese Femke Bol, che continua a dar prova di correre a livelli stratosferici senza apparente sforzo.
Disco donne – La finale di Daisy Osakue si chiude con il dodicesimo posto, come ai Giochi di Tokyo. La primatista italiana apre con un nullo, poi lancia a 61,13 m e conclude con un secondo nullo. Per entrare nelle prime otto era necessaria la misura di 63,59 della portoghese Liliana Cà. Doppietta statunitense con l’oro a sorpresa di Laulauga Tausaga (69,49 m) davanti all’olimpionica Valarie Allman (69,23 m), bronzo per la cinese Feng Bin (68,20 m), campionessa uscente.
800 metri: super Barontini
Due su tre per gli azzurri nel primo turno degli 800 m. Esuberante la prova di Simone Barontini, secondo in 1’45”21, al termine di un doppio giro di pista all’insegna dell’energia e del controllo. Negli ultimi metri trova anche modo di rilassarsi, scambiando un ‘cinque’ con il canadese Marco Arop che lo precede in 1’45”05, e il primo abbraccio gli arriva da capitan Tamberi che è in pedana nella finale dell’alto. Stavolta la tattica è quella giusta per Catalin Tecuceanu che interpreta al meglio la sua batteria, si piazza terzo in 1’45”31 e stacca il biglietto per la semifinale. L’azzurro a metà gara trova spazio all’interno, dietro al keniano Emmanuel Wanyonyi, e poi quando passa avanti il francese Gabriel Tual riesce a mantenere la terza posizione. Sul traguardo l’africano precede il transalpino (1’44”92 contro 1’45”10) mentre il veneto, non lontano dal personale di 1’44”83, respinge le velleità di Tshepiso Masalela (Botswana, quarto in 1’45”60) prima di baciare la maglia esultando di fronte alla curva di spettatori italiani già pronti a fare il tifo per i saltatori in alto. All’esordio in Nazionale assoluta, a vent’anni di età, corre con coraggio Francesco Pernici che manca il passaggio del turno per non più di tredici centesimi, quarto in 1’45”89.
400 m piani / Semifinali – Eliminato Davide Re, quarto in 45”29. Spicca il clamoroso record europeo del britannico Matthew Hudson-Smith, che con 44”26 migliora dopo 36 anni il 44”33 del tedesco Thomas Schoenlebe (campione mondiale a Roma 87), ma il più veloce è il giamaicano Antonio Watson con 44”13.
1.500 m donne: la legge di Faith Kipyegon
Le dodici finaliste sono passate tutte ai primi 400 m in meno di 1’06”, compresa la nostra Ludovica Cavalli (undicesima infine in 4’01”84, primato personale). Erano ancora in nove a passare ai mille metri in meno di 2’44”. A tirare era sempre lei, quella Faith Kipyegon che si è presentata a Budapest forte dei tre record del mondo stabiliti in questa stagione: 1.500 m, miglio e 5.000 m. A quel punto, 500 metri all’arrivo, si è scatenata la bagarre che ha visto la triplice primatista mondiale presentarsi alla campana dell’ultimo giro superata da tutte quelle otto avversarie, da Diribe Welteji (ETH) a Ciara Mageean (IRL), ma soprattutto da Laura Muir (GBR) alla rivale più diretta nella possibile doppietta (1.500-5.000 m), quella Sifan Hassan che, come lei, aveva le carte in regola per portarsi via tutto il mezzofondo prolungato, da questi 1.500 m ai 10.000 metri (le due distanze in cui vinse i Mondiali a Doha 2019). Il tutto però è durato lo spazio di una curva e sul rettilineo opposto all’arrivo Faith Kipyegon ha prodotto un’accelerazione mostruosa, con cui ha costruito un vantaggio conservato senza cedimenti fino al traguardo: 3’54”87 contro il 3’55”69 dell’etiope Diribe Welteji e il 3’56”00 di Sifan Hassan, sul podio dopo la caduta di sabato nei 10.000 metri. La legge della più forte.
3.000 siepi: El Bakkali batte Girma
Ed è infine un peccato che la finale dei 3.000 siepi si sia svolta in contemporanea ai festeggiamenti per la vittoria di Gianmarco Tamberi. Nell’indifferenza generale, del pubblico e della TV, si è svolta una storica resa dei conti tra due tra i più forti specialisti di sempre: il marocchino Soufiane El Bakkali, primo infine in 8’03”53, e l’etiope primatista del mondo Lamecha Girma, secondo in 8’05”44. Ha completato il podio il primo del “pianeta terra”, il keniano Abraham Kibiwot (8’11”98).