In Italia saranno le dieci di sera di sabato 7 settembre quando si conoscerà il nome della città che organizzerà i Giochi olimpici del 2020. A quel punto a Buenos Aires (là saranno le 17), i 104 membri del Comitato olimpico internazionale avranno scelto una delle tre candidate rimaste in lizza: Istanbul, Madrid e Tokyo.
Già scartate le altre due che si erano proposte: Baku (Azerbaigian) e Doha (Qatar), perché non dotate dei requisiti minimi previsti dalla Carta olimpica per candidarsi. Roma si era già scartata da sola, per bocca di Mario Monti.
Su Correre di settembre, attualmente in edicola, delle tre aspiranti città olimpiche vi raccontiamo nel dettaglio pregi e difetti.
Istanbul: prima volta dei Giochi in un paese islamico, ma anche arretratezza di infrastrutture e stadi tutti da realizzare. La città rappresenta da sempre un ponte culturale tra Oriente e Occidente, ma si sta purtroppo imponendo all’attenzione mondiale anche per la repressione violenta dei manifestanti.
Madrid: con il suo solito progetto sobrio, già giudicato impeccabile nelle precedenti candidature per il 2012 e 2016, ma anche con l’ombra dell’Operación Puerto, doping e porto delle nebbie.
Tokyo (nell’immagine il progetto dello stadio Olimpico): la città migliore del mondo per rete metropolitana, ma con l’incubo nucleare di Fukushima.
Franco Fava, autore del servizio su Correre, ha seguito i sopralluoghi della commissione CIO incaricata di redigere il rapporto su cui si dovrebbe basare la decisione del Governo mondiale dello sport. Il condizionale è d’obbligo, perché più di una volta delle circa 100 pagine di analitico giudizio prodotte dai tecnici, i membri CIO hanno dimostrato di servirsene il giusto. Lo sanno bene fior di progetti, bocciati là dove non abita la meritocrazia: Atene 1996, Berlino 2000, Roma 2004, Chicago 2008, Parigi 2012. Non sempre vince il migliore.