No, l’immagine di copertina non è un fotomontaggio. Kilian Jornet Burgada corre davvero così, su pendenze lungo le quali a noi riesce difficile perfino camminare. La fotografia lo ritrae per quello che è, un runner straordinario, e ne coglie simbolo e ruolo, il suo percorrere il crinale che separa il passato dal futuro del trail running lasciando impronte leggere, ma indelebili, nella storia in evoluzione di questa disciplina, che lui riconduce all’atavico crocevia di passioni di montagna, dall’escursionismo allo sci-alpinismo e all’arrampicata. E dell’alpinista sembra ora avvertire lo spleen da fine percorso. Nell’intervista che ci ha concesso accenna al progetto “Summit of my life”: in questa e nelle prossime stagioni salirà di corsa, «Il più nudo possibile», montagne che altri faticano a scalare con piccozza e ramponi da ghiaccio.
Mi ha ricordato l’immenso Walter Bonatti, quando, tradito dai compagni del K2, sviluppò infine in orizzontale la sua sete di avventura, camminando in Africa come in Patagonia.
Kilian potrebbe vincere ancora tutto, ma sente bisogno di altro, per continuare a salire dentro se stesso. Per quanto paradossale sia, così facendo annulla la distanza che lo separa dal nostro quotidiano e lento correre, e dal runner della porta accanto che di solito, e volutamente, tutti ci rappresenta in copertina.
Come Kilian, anche noi corriamo su un crinale: da una parte la salute, con le sirene del fitness, dall’altra l’agonismo, che il doping sta facendo sprofondare nella fiction, togliendoci il gusto, forse il diritto, di credere in chi vince. Continuiamo a vederli confessare e piangere, più da attori che da sportivi. Non ci interessa. Brutalmente suggeriamo loro: una mano al fazzoletto e l’altra al portafogli, per restituire i soldi non meritati.
Avverto non da oggi il persistere di una distanza, che rende difficile collegare i vertici del running alla base dei praticanti, che sono poi i nostri lettori. E quando vedo qualcuno con gambe e cuore in grado di annullarla, quella distanza, mi ci butto a capofitto: Valeria Straneo, l’anno scorso, Andrea Lalli, mi auguro, adesso che dal limbo gelato di re del cross si accinge a provare la strada della maratona. Il tutto con la volontà di restituire ciò che oggi comincia a mancare: la fiducia nell’allenamento. Bisognerebbe capire quanti Fuentes ci sono in giro. In Europa, negli Stati Uniti e, purtroppo, mi dicono, anche in Africa.