Il caso Alex Schwazer. Cosa c’è oltre la serie

Il caso Alex Schwazer. Cosa c’è oltre la serie

27 Giugno, 2023
locandina Netflix

Dalla sua uscita lo scorso aprile, “Il caso Alex Schwazer” la docuserie in 4 episodi di Netflix, ha riacceso il dibattito sulla vicenda del marciatore. Correre ha dato spazio al punto di vista di Stefano La Sorda, il primo debunker della teoria del complotto ai danni dell’atleta altoatesino e il suo allenatore, Sandro Donati

Sto leggendo Dopo il traguardo, l’autobiografia di Alex Schwazer e confesso di esserne rapito, la letteratura è una cosa che deve raccontare la complessità dell’animo umano e le narrazioni seducono quando mettono in scena le montagne russe di vite accidentate, con i picchi e le cadute rovinose, e tutto ciò è bene rappresentato in questo testo che ti prende per mano e ti fa fare un viaggio accidentato, a tratti viaggi in prima classe, in altri nel carro bestiame.

C’è fin dalle prime pagine l’ossessione di riuscire a fare qualcosa di grande e definitivo nella propria esistenza. Schwazer non vuole una esistenza anonima e una volta individuata una specialità sportiva nella quale potrebbe eccellere, spinge l’acceleratore e si dimentica dei freni. Se descrive il patto col diavolo della sua prima squalifica senza risparmiarci le zone oscure del suo animo fino alla prima espulsione per doping dell’agosto 2012, colpa ammessa, il registro cambia nettamente quando tratta della seconda, quella del giugno 2016, in questa circostanza racconta tutta la sua incredulità e la sfiducia nel “sistema”. Prese quindi forma la tesi del complotto alla quale una buona parte dell’opinione pubblica sembra credere tutt’ora, non fosse altro che per il prestigio della figura del professor Sandro Donati che in quei giorni allenava Alex e che con Campioni senza valore uscito nel 1989, fu avanguardia imprescindibile sull’argomento doping italiano e internazionale. 

La versione di La Sorda 

Nei giorni dell’uscita del docufilm Netflix Il caso Alex Schwazer su tutta questa vicenda, ho deciso di sentire la versione di Stefano La Sorda, il primo debunker della teoria del complotto ai danni dell’atleta e il suo allenatore. La Sorda è personaggio noto nell’ambiente della marcia come anima del ventennale sito web specialistico Lamarcia.com (4.600 fan su Facebook), il suo nome compare più volte nei documenti legati al primo caso Schwazer, perché venne sentito come testimone dai carabinieri di Bolzano e dalla procura antidoping in quanto fu anche uno degli organizzatori del Lugano Trophy 2012, gara internazionale che Schwazer aveva vinto nel periodo d’uso dell’EPO, come tardivamente ammesso dallo stesso atleta solo tre anni dopo. 

La Sorda nel 2013 e 2014 fornì aiuto a Sandro Donati, che stava collaborando con la procura di Bolzano nell’indagine sul doping dell’altoatesino, ma dopo aver appreso della scelta di allenarlo e della volontà di aiutarlo a ottenere uno sconto di pena sportiva, interrompe i rapporti con il professore ritenendo la scelta poco etica e in conflitto di interessi. Poco tempo dopo Stefano verrà informato direttamente dalla Wada (l’agenzia mondiale antidoping) che la persona a cui aveva fornito con fiducia informazioni e assistenza non era affatto un loro consulente. 

In una vicenda lunghissima che, tra colpi di scena dei tribunali e sovraesposizione mediatica, ha raggiunto il palcoscenico di Netflix, ecco la voce inedita di uno degli antagonisti più critici. 

Partirei dalla fine, oltre all’autobiografia di Schwazer ho visto Il Caso Alex Schwazer, la docu-serie in 4 puntate andata in onda su Netflix, e devo dire che la narrazione è accattivante, la tesi del complotto è portata avanti puntata dopo puntata in una sorta di progressione che arriva a essere convincente.

«Seguo questo caso da almeno 10 anni con l’intenzione di scriverne un libro, per questo avevo cercato di contattare più volte la produzione del docufilm per avere nuove informazioni utili a completare l’ultimo capitolo. Mi hanno sempre ignorato fin quando non ho contattato direttamente Alessandro Lostia (direttore creativo della Indigo film), il quale si è limitato a dirmi che si sarebbe trattato di un racconto equilibrato dei fatti. Non mi sono fidato troppo, infatti sapevo che il titolo originario era The plot against Alex Schwazer, e il regista è lo stesso Massimo Cappello che già aveva realizzato la tendenziosa inchiesta video di Repubblica dal titolo Alex Schwazer, le trame dei signori del doping.

Si tratta di un prodotto cinematografico ben confezionato, racconta la vicenda spingendo fortemente sulla tesi del complotto misterioso attirando la curiosità delle persone, ma non racconta la verità sostanziale. Mancano delle informazioni, non è stato dato spazio a un contraddittorio alla pari, e quegli inserimenti di testo nei titoli di coda sono un goffo tentativo di equilibrio, la trama a senso unico è evidente.»

Quali testimonianze ritiene che manchino e avrebbero potuto davvero smontare la tesi del complotto ai danni di Schwazer?

«Non si tratta solo di smontare una tesi già di per sé inverosimile, ma di sentire anche le voci di chi non se la beve e concedere replica alle persone diffamate da questo circo mediatico. Sia Pierluigi Fiorella, medico accusato da Schwazer, ma poi assolto da qualsiasi addebito, che Michele Didoni, ex allenatore di Schwazer, avevano dato disponibilità a partecipare al docufilm ma poi sono stati ignorati. Un altro testimone mancante è Giovanni De Benedictis, bronzo olimpico a Barcellona ’92 nella 20 km di marcia: lui aveva partecipato a un paio d’ore di riprese, poi non ha più acconsentito all’utilizzo della sua intervista visto che non gli era mai stata data la possibilità di vedere l’effettivo “girato”.

Anche Roberto De Benedittis, con cui sto appunto scrivendo il libro, aveva rilasciato un’intervista non in linea con la tesi del complotto; avevo avvertito Roberto che secondo me lo avrebbero tagliato, e così è avvenuto. Infine, manca Emiliano Giardina, conosciutissimo genetista che ha fatto da perito a Bolzano. Altre persone che erano state chiamate a partecipare, visti i presupposti, avevano declinato l’invito e fatto il mio nome alla Indigo indicandomi come contraddittorio competente, ma per qualche autore non sono una persona titolata a parlare. La vicenda Schwazer è un caso di doping come un altro, con la differenza che se ne parla da anni con una copertura mediatica eccessiva finalizzata a screditare la Wada e le decisioni dei tribunali sportivi internazionali. La teoria del sabotaggio è spesso utilizzata da chi viene trovato positivo, la vera manipolazione è mediatica.»

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