C’è qualcosa di estremamente romantico nelle luci di un campo d’atletica che si spengono. Ci si sente bene a veder scendere la sera sapendo di aver fatto il proprio lavoro. Gli ultimi saluti in sala stampa. “Arrivederci” e ringraziamenti pronunciati in tutte le lingue d’Europa. E per fortuna che almeno i baci sono internazionali.
È motivo d’orgoglio essere rimasti fino alla fine ed è a suo modo rassicurante non avere nessuno “a casa” che ti aspetta. E che scalpita. Perché per quanto si possa essere in sintonia, l’odore che ha una sera assaporata a bordo pista, beh, quella è una cosa tutta tua.
Ci sono sensazioni che non si possono spiegare. O meglio sì, tutto si può spiegare, ma non è da tutti capire certi stati d’animo. È come se provassero a farmi appassionare ai polinomi e alla teoria degli anelli; sì, potrei anche essere di compagnia se venissi trascinata a una quattro-giorni di conferenze sul tema, ma difficilmente non mi arrabbierei se il mio compagno tornasse a casa tutte le sere alle undici passate.
Ormai gli spalti si sono svuotati e in campo è rimasta soltanto una chiazza d’azzurro. Giovane, rumorosa, festante, meravigliosa. Sono i nostri Juniores, che dopo le ultime fatiche di giornata e la foto di rito scattata da Giancarlo Colombo si apprestano a gustarsi la festa di chiusura. Hanno un’età in cui non si è ancora malinconici nell’approcciarsi a qualcosa che finisce.
In campo c’è un allenatore, Maurizio Cito, che dopo qualche presenza in nazionale giovanile sta raccogliendo adesso più soddisfazioni che da atleta: la gestione del talento Chiappinelli, neo campione europeo dei 3.000 siepi, è tutta opera sua. C’è un ragazzo, Simone Colombini, che in quest’ultima giornata ha cambiato espressione. Non me ne voglia, ma in lui riconosco qualcosa dell’atleta che son stata. Di chi convive con l’impressione di essere in squadra con dei fenomeni fuori portata e tu invece sempre un passo indietro, sulle punte, sperando non notino troppo la presunta inferiorità. Poi però succede che Simone oggi è arrivato quarto nella finale delle siepi, senza essere in lotta per il podio ma comunque un risultato d’indiscusso pregio. E a quel punto cambia lo sguardo, hai più fiducia in te stesso e scherzi quasi alla pari con quei fenomeni che prima guardavi col naso all’insù.
Ci sono tanti abbracci nel campo ormai semivuoto. C’è l’ultima passerella di tutti i volontari, toccante come la prassi di lasciare l’ultima premiazione al direttore di cerimonia. C’è la fortuna di essere nel posto giusto quando senti urlare “Dai, raduniamoci per la foto del gruppo mezzofondo!” e ci sono le coppie di atleti che a breve dovranno separarsi per tornare alle rispettive città. C’è la guasconeria tutta italiana d’improvvisare una colletta e sfidare il futuro maratoneta Alessandro Giacobazzi a chiudere un 400 sotto i 58”, da freddo e senza scarpe chiodate. E c’è il calore tutto mediterraneo di accoglierlo in un tunnel fatto di compagni di strada e pacche sulle spalle. Per la cronaca, Alessandro c’è riuscito.
C’è un viaggio di ritorno lentissimo verso casa della mia couchsurfer, la ragazza che mi ha ospitato e ridato fiducia nel genere umano, nel quale ho provato a imprimermi negli occhi quanti più ricordi possibile. C’è l’onore di essere rimasta fino in fondo e salutare i ragazzi per nome.