Diario Mondiale 5 – Sprazzi d’azzurro in una notte a stelle e strisce.

Diario Mondiale 5 – Sprazzi d’azzurro in una notte a stelle e strisce.

26 Luglio, 2014

Stefano Baldini, Direttore tecnico del settore giovanile, aveva chiesto impegno e attaccamento alla maglia agli azzurrini convocati ai Mondiali junior di Eugene. “Siete 49 e il mio sogno è di tornare a casa con 49 record personali. Non è facile, lo so, ma l’occasione è stimolante. Gareggerete coi più forti coetanei al mondo, provate ad agguantare almeno un primato stagionale”, le parole del campione olimpico trapelate dopo l’ultima riunione tecnica, prima dell’inizio delle gare.

Anna Stefani e Yeman Crippa lo hanno ascoltato. Personale nei 1.500 m ritoccato di quasi due secondi per lui (da 3’45”02 a 3’43”44), PB nei 3.000 m abbassato oltre otto per lei (da 9’31”32 a 9’23”12).

Finale dei 3.000 m femminili. Al primo mille Anna è ancora attaccata al gruppo, passaggio allegro per il suo valore attuale, ma bene così. Quando via via ci si inizia a sfilacciare, lo scricciolo di Vipiteno è brava a non restare mai da sola: riesce sempre a individuare il giusto treno da seguire o il momento buono in cui fare il ritmo. Nonostante il tifo sfegatato per la Cain infranga anche il muro di concentrazione delle atlete in gara, come confessa Anna, l’altoatesina è brava a non farsi distrarre e riesce a chiudere in spinta, con un crono finale che ne rispecchia la crescita atletica delle ultime stagioni.

Finale dei 1.500 m maschili. Bravo Yeman nel gestire la gara fino all’ultimo giro: reattivo, sempre al posto giusto, combattivo. Autoritario nel difendere la posizione, nonostante nel parterre dei finalisti si sia trovato a sgomitare con spilungoni decisamente meglio piantati. Peccato che nel finale si sia spenta la luce, facendolo precipitare fino al decimo posto, quinto tra gli europei. Ripetere i fasti dello scorso anno (sesto classificato e primo europeo nella finale dei Mondiali allievi) sarebbe stato forse chiedere troppo per un ragazzo al primo anno di categoria e con un fisico ancora tutto da costruire, soprattutto considerando che ha perso buona parte della stagione invernale per infortunio. La tempra c’è e fino ai 300 m finali l’obiettivo sembrava ancora alla portata, da qui si riparte.

Il buio oltre la siepe

Esco un attimo dai confini italici, perdonatemi, ma all’Hayward Field, prima dei decimi posti di Anna Stefani e Yeman Crippa, è andato in scena un dramma sportivo. O almeno per me lo è stato. Anita Hinriksdottir era uno dei miei idoli sportivi. Dei miei idoli in miniatura, diciamo, vista la stazza dell’atleta islandese.

Inquadriamola brevemente per i lettori che non la conoscessero: classe 1996, PB sugli 800 m di 2’00”49, quarta ai Mondiali junior di Barcellona nel 2012, quando era ancora primo anno Allieva (due anni più giovane delle avversarie, quindi), prima ai Mondiali allievi lo scorso anno a Donetsk, prima agli Europei junior di Rieti sempre la scorsa estate (di nuovo gareggiando nella categoria superiore), quasi finalista ai Mondiali assoluti indoor di Sopot nel 2014, ma squalificata per invasione di corsia.

Anita si presentava da favorita all’appuntamento iridato, non tanto a livello cronometrico (la graduatoria stagionale junior era nettamente guidata dalla cubana Sahily Diago, con 1’57”74, secondo miglior crono assoluto) quanto piuttosto alla luce delle tante esperienze a livello internazionale già maturate.

Anita ci aveva sempre abituato a gare di testa, tirate dal primo all’ultimo metro e scandite da quella sua corsa disarticolata e dispendiosa: falcata ampissima, ginocchia basse, busto piegato in avanti, braccia larghe… non un esempio di stile, insomma. Eppure, in qualche modo, produttiva. (A questo proposito, rimandiamo all’articolo firmato da Giorgio Rondelli e pubblicato su Correre di maggio, in cui il nostro coach analizzava allenamenti e prospettive del giovane talento nordico). Ma c’è di più: Anita dava l’impressione di non accusare la tensione, di gestire bene gare su più turni, di non intimorirsi al cospetto di avversarie più esperte. Poi quest’anno qualcosa è cambiato.

Dopo un primo turno eliminatorio tipicamente all’Hinriksdottir, già nel secondo Anita aveva rischiato, chiudendo quarta la sua batteria e venendo poi ripescata per la finale. Un calo fisico ci sta, un’annata non all’altezza delle precedenti è del tutto normale con i cambiamenti tipici di quell’età. Quello che non ti aspetti, che non mi aspettavo, è però un’arrendevolezza a 50 m dal traguardo. Black out. Meglio ritirarsi che arrivare sesta. Meglio ritirarsi che arrivare sesta? Sesta ai Mondiali? Qualcuno non avrà passato una notte serena all’interno del team Islanda. Ci sarà da lavorare una volta tornati a Reykiavik, ma non (soltanto) in pista questa volta.

Per la cronaca, la gara è stata vinta dalla keniana Wambui, ma questa è cronaca, non storia.