Ponte Morandi: il ricordo dei podisti genovesi

Ponte Morandi: il ricordo dei podisti genovesi

12 Agosto, 2019
Foto: Sartoria Fotografica
In prossimità dell’anniversario del tragico crollo del 14 agosto 2018, nel quale persero la vita 43 persone, avevamo parlato con i runner del luogo e con alcuni di loro abbiamo visitato il quartiere ferito. Ricordi e voglia di ripartire, trovata a volte anche grazie alla corsa  

Il tanto atteso Ferragosto, pausa per eccellenza della vita quotidiana, quest’anno, per tutti, deve passare da una vigilia dedicata al ricordo del crollo del ponte Morandi, a Genova, alle ore 11:36 del 14 agosto 2018. All’anniversario di quel tragico momento è dedicato il servizio che apre il numero di agosto di Correre e di cui qui riportiamo alcuni passaggi, a cura di Danilo Mazzone, nostro storico collaboratore genovese.

La “Ground Zero” di Genova

“Genova, i genovesi – scrive Mazzone – capiscono che c’è un tempo, ci sono tempi, per ogni cosa. Il tempo del dolore infinito, dell’angoscia di chiunque poteva essere su quello che sarebbe diventato un trampolino infernale, il baratro di una valle che sanciva l’unione (seppur artificiale) di due città. Poi il tempo del silenzio sofferto, della memoria. Un filo rosso che ha unito il dramma appena vissuto ai ricordi dell’alluvione del 1970, poi di quelle del 2011 e del 2014, e che ha riportato indietro a calamità nazionali come il Vajont, consapevoli che anche stavolta non di “Natura” si è trattato. … La “Ground Zero” di Genova. Infine il desiderio (o rimozione?) di andare avanti, di spezzare un pensiero cupo che annientava le menti.” 

Correre col dolore dentro: la voce dei runner genovesi 

“Molte volte – prosegue Mazzone – ci si è chiesti: ma che senso ha lo sport in tutto questo? Correre, dopo una catastrofe del genere, è una deviazione, una distrazione dalla compartecipazione alle sofferenze che ci sono ancora (vedi: gli sfollati) o può essere un segnale? Il 14 agosto 2018, nella vita di Genova, ha rappresentato uno spartiacque: nulla sarà come prima.” 

Ecco allora le domande che Correre ha rivolto a diversi runner del posto: 

1) Com’è cambiata la tua vita?

2) È cambiato anche il tuo modo di correre? 

3) Che iniziative si possono fare in ambito sportivo (podistico)?  

In questa pagina di Correre.it riportiamo brevi stralci delle voci raccolte. 

• «È cambiato anche il modo di correre, purtroppo. Molti amici di fuori regione, che si allenavano con me nei fine settimana, non vengono più per problemi di viabilità. Se devi andare a Genova, ci pensi due volte per il traffico, le code.» (Corrado Pronzati, Runner Team 42.195) 

• «In quanto presidente dei Maratoneti Genovesi, ho chiesto ai miei soci di non prendere parte a corse su strada la settimana dopo la tragedia, per motivi di rispetto nei confronti delle vittime. Le manifestazioni di beneficenza andavano fatte e sono state fatte nel periodo immediatamente successivo. Farle adesso non mi sembra più opportuno. Auspico che, nel quadro di una bonifica e del risanamento urbanistico della zona, ci sia spazio anche per lo sport.» (Claudio Vassallo, Maratoneti Genovesi)

• «La mia corsa è fatta di cuore e testa. Per molti giorni i pensieri andavano verso il ponte: ho pensato a dove fossi, cosa stessi facendo in quel maledetto momento. È stato un mulinare continuo verso quel punto preciso. È stato, è ancora, un grosso trauma. È una ferita.» (Emma Quaglia, Cambiaso Risso Running, maratoneta azzurra)

«Ora come mai prima Genova è divisa in due parti. C’è molto traffico, ci si sposta con difficoltà. All’inizio è stato terribile, poi, a poco a poco, si è trovato il coraggio di andare avanti. La mia corsa non è cambiata: non sono stata indifferente al dramma, ma cerco di vedere l’aspetto positivo del correre: le manifestazioni podistiche di solidarietà le ho vissute come un modo di essere vicini alle vittime.» (Susanna Scaramucci, Atletica Varazze)

• «No, la mia corsa non è cambiata. La interpreto sempre come una condivisione con altri. Possono servire eccome, le manifestazioni podistiche di beneficenza. Danno un senso di unità importante, un segnale.» (Mario Codella, Cambiaso Risso Running, dirigente)

• «La sera prima del crollo sono passato sul ponte a mezzanotte. Venivo da un trail. Per molti mesi, mentre correvo, sono stato quasi ossessionato da quel ricordo. Occorre capire quando la solidarietà è vera. Ci sono state polemiche perché i ricavati da certe manifestazioni non sono andati agli sfollati. Non mi è sembrato rispettoso nei loro confronti.» (Roberto Giordano, Delta Spedizioni, autore di programmi TV sulla corsa)

• «Passato il primo momento di sconforto, ho visto una cosa molto positiva: la vicinanza al quartiere dei genovesi. In molti hanno scoperto via Perlasca, via Fillak, via Porro, le strade più funestate dal crollo. Le prime manifestazioni organizzate dopo il crollo hanno avuto uno spirito autentico, di vicinanza e solidarietà. Quando siamo passati sotto le case di via Porro in occasione della Maratona Città di Genova, siamo stati applauditi. Adesso non noto più questo spirito. Vorrei si parlasse più dei feriti.» (Rita Marchet, Maratoneti Genovesi).

«La mia corsa è cambiata. Vado spesso a correre in una zona panoramica dalla quale si vedono i resti del ponte e lo sguardo continuava ad andare là. Il carattere dei genovesi è incline al pessimismo, ma in occasione della tragedia si è sviluppato un senso di solidarietà splendido. Una voglia di buttare il cuore al di là dell’ostacolo» (Giulia Merlano, presidente Gau Struppa). 

«È stato un momento terribile per tutti, perché non è stata una tragedia dovuta a cause naturali, ma umane. È davvero assurdo che debba crollare un ponte nel 2018! All’inizio sono stato preso da un senso di smarrimento, poi, a poco a poco, il tempo ha cominciato a lenire il dolore.» (Gebrehanna Savio, Cambiaso Risso Running)