La copertina di Correre di ottobre parla di noi adesso. Adesso che “La coperta è gelata e l’estate è finita” (De Gregori) scopriamo (mi-vi auguro) dentro di noi l’energia per affrontare il tesoro dell’autunno con l’autostima che ci deriva dal saper correre dentro il buio della sera, con le temperature che vanno sempre più a diminuire, perché in fondo al buio di quella e altre sere si accende a farci da guida la stella polare del prossimo sogno, che per pudore ci limitiamo a chiamare “obiettivo”.
Temi di livello superiore
Le 144 pagine di Correre di ottobre parlano, invece, non “di” noi, ma “a” noi. Un’ampia proposta (davvero ampia) di articoli di allenamento si candida a intercettare diverse condizioni di runner che sappiamo presenti tra i nostri lettori. E non abbiamo paura, per rimanere ai contenuti che anticipiamo in questa newsletter, di affrontare temi di livello superiore come il tapering o il pacing (Rossi) né di spiegare che anche cominciare (o ricominciare) a correre è una cosa seria, che va fatta per opportuni step, con calma e tanto tempo a disposizione, con cura, senza trascurare di far crescere nel frattempo la capacità complessiva del nostro corpo di “reggere” la nostra passione.
Perché di quello si tratta, di passione, e contenerla, fare in modo che non ecceda e si ritorca contro di noi è spesso il più arduo degli impegni del runner.
Un’attività per tutte le stagioni della vita
Correre di ottobre era appena andato in tipografia quando è giunta la notizia della seconda vita da runner di una grande maratoneta come Shalane Flanagan, indimenticabile vincitrice della maratona di New York del 2017 (quella del debutto di Sara Dossena) e faro del mezzofondo a stelle e strisce per oltre un decennio. “Cara corsa, sono di nuovo io e, ancora una volta, mi sono innamorata di te” ha scritto in un post su Instagram per annunciare la sua nuova sfida di correre sei maratone in sette settimane col solo obiettivo di concluderle.
“La nostra relazione è cambiata rispetto a prima – prosegue la Flanagan – e vive di una profondità mai provata in passato. È cambiata in meglio e sento un senso di freschezza, nonostante abbia corso per vent’anni”.
Dello stesso avviso (freschezza a parte!) è Leonardo Soresi, che nel suo editoriale che apre come tutti i mesi lo spazio trail running scrive: “Corro per poter avere ancora un sogno che dia senso ai giorni che mi sono stati dati: non è più il sogno di bambino di una medaglia olimpica al collo, né quello di adolescente di una vita di scrittura. Non è più il sogno di qualche anno fa, quello di girare libero all’alba per i sentieri di questo mondo, e tutto intorno le creste lucide e nuove, come fossero state create nella notte appena svanita. Oggi è il sogno di fermare il disfacimento del tempo, rimandare il momento in cui non avrò più voglia di nulla. Oggi corro per rinnovare lo sguardo, tornare ai sentieri da cui sono partito, e su quella terra, su quella sabbia, su quella riva del mare, provare ancora il brivido di esistere.”
Ecco perché i runner di copertina (che siamo tutti noi) brillano dentro il buio.