Esiste da alcuni anni una tendenza ad allungare costantemente i percorsi delle competizioni, su strada come in natura: si tratta di un fatto positivo o di un fenomeno dai risvolti negativi?
Sentirsi finisher
Uscire dalla propria area di comfort per mettersi alla prova ed esplorare i propri limiti è sicuramente una delle spinte più forti e consistenti cui abbiano accesso gli esseri umani. La gente si iscrive a queste gare perché desidera sentirsi finisher, cioè avere la conferma di avercela fatta a realizzare il proprio sogno.
Fuga dalle apparenze
Cosa c’è di non sano in tutto questo? Una parte di trailer si iscrive alle gare spinto da pressioni commerciali o modaiole. Il meccanismo di marketing porta a dimenticare come ci si sente rispetto a se stessi, conta come si appare agli altri.
E in fondo, in un’esistenza dove il singolo individuo percepisce di contare sempre di meno, il vero prodotto che alcuni organizzatori vendono è la possibilità di essere visti come qualcuno che ha fatto qualcosa di grande. Un risultato, tutto sommato, a buon mercato, un biglietto di ingresso al club degli eletti che in fondo non è così difficile da staccare.
La domanda fondamentale
Nascono così competizioni sempre più estreme e l’asticella si sposta verso un traguardo ignoto. La gara diventa impresa, l’arrivo conquista. La sete di gloria si appaga e la risposta mediatica del singolo si placa con i like. Perché, diciamocela tutta: ognuno di noi, più o meno consapevolmente e con più o meno moderazione avverte il fascino innegabile della visibilità. E in tutto questo non c’è nulla di sbagliato, finché non diventa un’ossessione.
Perché lo faccio? Se la risposta contempla termini come “mettersi in gioco”, “soddisfazione personale”, “scoperta dei propri limiti”, eccetera, allora alzare l’asticella può realmente diventare un’opportunità. Ma se la risposta alla fatale domanda è: “Per farmi vedere” si rischia di diventare solo un raggio di una ruota che gira”, senza avere nulla a che fare col centro della ruota stessa.
Nota: Questo testo rappresenta una sintesi dei servizi in cui è articolato “Panorama / speciale ultra”: “Sempre un po’ più in là”, di Pietro Trabucchi e “Quella spinta verso l’estremo” di Andrea Accorsi, pubblicati su Correre n. 411, gennaio 2019 (in edicola a inizio mese), alle pagine 16-19