Come ai tempi del Covid, anche oggi si dovrebbe avere il coraggio di aprire un telegiornale ricordando quante persone in Italia ogni giorno muoiono d’infarto o quante esistenze si spengono per la depressione o il diabete. Si apprezzerebbe così lo sforzo di alfabetizzazione motoria continua portato avanti da riviste come Correre.
Dura è la vita della notizia. C’è sempre da sgomitare per arrivare all’home page di un sito d’informazione, ai titoli di apertura di un telegiornale, alla prima pagina di un quotidiano. Anche se tu, notizia, sei quella dei droni che bombardano Putin al Cremlino in favore di telecamera, non è che puoi stare tranquilla e cantare vittoria. Chi l’avrebbe detto che di lì a poco una signora col cane si sarebbe presentata dal papa dicendo “Mi benedice il mio bambino?”. E così, in quella metà di maggio dalla quale scrivevo questo editoriale di Correre di giugno, realizzavo che tra feste per lo scudetto del Napoli, elezioni amministrative, Madonne che danno i numeri del lotto, “Belli, ciao”, tende di studenti fuorisede e solidarietà agli alluvionati delle mie parti, era quasi sfuggita ai più la notizia che l’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva dichiarato cessata l’emergenza da Sars-COV-19. Un dramma per alcuni “virustar” da TV, un sollievo per molti. Era il 5 maggio, come in una poesia del Manzoni che si studiava al liceo.
Il pensiero è corso a ricordare le giornate di maggio del 2020, il silenzio qui in redazione, le ore scandite solo dalle sirene delle ambulanze che correvano verso gli ospedali: quanto avrei pagato per una notizia così? In quei giorni eravamo in edicola con un numero che aveva in copertina un disegno di Chiod (nella foto), col senno di poi lo specchio di un’epoca: la coppia dei runner che dalla terrazza guardano sgomenti la città deserta, anzi: vuota, sospesa, come sospese ci sembravano le nostre vite.
Quando la TV contava i morti
Per tornare allo sgomitare delle notizie, della vita di quei giorni mi resta indelebile il riepilogo serale, quotidiano, ossessivo, dei morti, dei ricoverati in rianimazione, dei tamponi positivi, che occupava la prima parte di ogni telegiornale.
Dell’ansia che quella tabella trasmetteva non sentiamo certo la mancanza, eppure mi accorgo che ne vorrei ancora, ne vorrei altre. Vorrei che si avesse il coraggio di aprire un telegiornale ricordando ogni giorno quante persone in Italia muoiono d’infarto, quante esistenze si spengono per la depressione, dopo aver cercato di affogare il vuoto di risposte sulla vita nella bulimia come nell’anoressia, nell’alcol o nei calmanti. Permetterebbe a tanti di apprezzare quella medicina-corsa che da anni testate come questa cercano di promuovere con i contributi di medici autentici, allenatori esperti di uomini prima ancora che di atleti, giornalisti e collaboratori prima di tutto onesti. Permetterebbe, anche e soprattutto, di mettere in guardia dal cibo furbetto, dai sapori drogati dal sale e dallo zucchero, dalle caramelle che se ne mangi una non ti fermi finché non hai finito il pacchetto, e nessuno che si chieda cosa contengono.
Ricordo che prima dell’emergenza Covid, autorevoli medici avvisavano che il diabete sarebbe stata la vera pandemia del terzo millennio.