Sono passate due settimane dalla stesura dell’editoriale che apre Correre di luglio e quello che ho visto in questo ultimo periodo mi ha sollevato dalla preoccupazione di aver insistito troppo sul ruolo della corsa in questa tragica situazione.
Ai lettori della nostra anteprima mensile preciso che ho dedicato l’editoriale di Correre di luglio all’alluvione che ha colpito la Romagna interessando anche l’Emilia e le Marche.
Ne riporto qui una parte:
“Le pale che ostinate raschiano il fango sulla piazza e nelle strade che tre settimane prima avevano accolto atleti e pubblico di uno dei più riusciti campionati italiani di 50 km. La stoffa di una poltrona su cui spiccano le tracce di gocce scese lungo i braccioli, come lacrime difficili da asciugare. E sacchi, tanti sacchi, dove sarà difficile selezionare cosa serve, cosa era già inutile prima, cosa invece inutile, anzi inservibile, è stato reso dall’inondazione. Consapevole che sia l’ultimo dei problemi, non posso fare a meno di sperare che in quell’archivio provvisorio del salvato ci sia anche il materiale fotografico e statistico che dovrebbe servire ad Andrea Accorsi per scrivere da par suo una storia della gara.
Sto ancora una volta guardando le immagini di Castel Bolognese, che mi ha mandato Riccardo Giannoni, organizzatore della 50 km di Romagna, e quelle analoghe delle case e dei posti di lavoro che mi hanno mandato i tanti altri amici che la corsa mi ha regalato in quel giacimento di passione per la vita che è la Romagna, e mi chiedo che cicatrici l’alluvione lascerà nei loro cuori una volta ripristinata una dimensione pur spartana di normalità. La corsa, di solito, funziona da ricostituente: nella tendopoli di Carpi, terremoto del 20 e 29 maggio 2012, una donna incontrò un podista vicino di casa e gli chiese di andare di nuovo a correre: «Ti vedevo dalla finestra quando ti allenavi, mi sembrerà un po’ di essere a casa.»”
Sono passate due settimane da quella stesura e quello che ho visto in questo periodo mi ha sollevato dalla preoccupazione di aver insistito troppo sul ruolo della corsa in questa tragica situazione. Dalla lunga lista delle società podistiche e delle organizzazioni di gare che hanno raccolto fondi per la 100 km del Passatore all’intensità emotiva avvertita alla Pistoia-Abetone (domenica 25 giugno), vissuta da concorrenti e organizzatori come una risposta di normalità alle avversità della vita, tutto mi ha confermato quello che l’episodio di Carpi aveva suggerito: la corsa, anche in casi drammatici come questo, funziona come un “ricostituente”, un’iniezione di normalità.