Oggi per Totò Antibo è un giorno di festa. L’ex azzurro compie, infatti, 52 anni. Un’età in cui non si è più molto giovani, ma neppure ci si può considerare in là con gli anni. Se fosse un uomo politico potrebbe essere considerato alla stregua di un inesperto, in grado di scalare le più alte vette del Parlamento. Invece no, Salvatore Antibo, in arte Totò, come è sempre stato chiamato, è un uomo solo, termine che ha usato più volte nella nostra conversazione.
Sposato, padre di due figli: Christian – «Con l’acca, mi raccomando» ci ha detto al telefono – di 11 anni e Gabriele, di 9 anni, passa i suoi giorni cercando di scacciare la noia. «Non mi chiama più nessuno − ha esordito al telefono. − Vivo ad Altofonte, in provincia di Palermo da quando sono nato e il piccolo male, l’epilessia, da quando mi ha colpito non mi ha dato più tregua. Il medicinale che assumo tutti i giorni, mi ha dato un certo sollievo, sono passato da un numero elevato di attacchi settimanali a uno assai più contenuto, ma tutto ciò non mi ha permesso di lavorare nella mia vita».
L’ex allievo di Gaspare Polizzi ha chiuso la carriera agonistica nel 1992 e chi conosce la nostra disciplina non può scordarselo quando con la bandiera italiana e quella siciliana s’apprestava a fare il giro d’onore nello stadio di Spalato, non ancora insanguinato dalla guerra dei Balcani che scoppiò qualche mese dopo. Era il 1990, la fine di agosto. L’Italia del fondo e mezzofondo dominava letteralmente in Europa. In Dalmazia, davanti a un mare blu, i vari Antibo, Panetta, Di Napoli, Bordin, Poli, Mei fecero incetta di medaglie. Tra le donne, ad esempio, per la prima volta, da quasi sconosciuta, Annarita Sidoti colse il suo primo oro nella marcia. Lui, Totò, vinse 5 e 10.000 m. Nella distanza più lunga prese il via e nessuno osò cercare di contrastarlo tanto era la differenza tra il siciliano e gli avversari. Nella distanza più breve, qualcuno al via lo fece rotolare a terra, tra le urla di disperazione di tutto il suo entourage giunto dalla Trinacria per sostenerlo. Totò non si perse d’animo, anzi: quel ruzzolone gli diede più forza, ritornò agevolmente sui primi e li giocò tutti in volata. Bei tempi! Per Totò. Per noi. Per l’atletica.
«Dal 1992 al 1994 − prosegue Antibo − ho vissuto con quanto avevo incassato con la mia vita da atleta, poi economicamente parlando la vita si è fatta più difficile. Dal 2005, grazie all’intervento del presidente Franco Arese, posso contare su una piccola pensione che mi permette di andare avanti. Cosa mi ha dato l’atletica? Molto: gioia, felicità, voglia di vivere, ma adesso mi sento solo, nessuno più mi chiama. Posso contare su mia moglie Stefania e i miei figli che sono ancora piccoli. Interisti come me. Il secondo è biondo. Lo chiamo il tedesco e lui si picca di seguire attentamente il Bayer di Monaco di Guardiola».
Totò a giorni alterni corre per un’oretta in strada con altri ragazzi. «Vado adagio, il farmaco che assumo non mi permette di fare grandi cose. In un’ora arriverò a correre circa 10 km. Mi basta stare fuori e correre anche con la pioggia. Mi piacerebbe dare dei consigli ai giovani, ma come faccio, ad Altofonte non c’è neppure una pista…» L’ex azzurro, tra l’altro, sarà bene ricordarlo come l’unico vincitore con la maglia della nazionale in Coppa del Mondo e medaglia d’argento alle Olimpiadi di Seul nel 1988, dietro il marocchino Boutayeb nella sua distanza preferita: i 10.000 m.
È ancora primatista italiano dei 5 e 10.000 m. Il ricordo più bello della sua esperienza atletica è stato quello d’avere girato il mondo: Dalla Cina al Giappone, dagli Stati Uniti al Brasile. «Questo è ciò che mi porto nel cuore». Ma l’atletica la segui? «Certamente, all’inizio dell’anno ho telefonato al presidente Alfio Giomi per gli auguri di rito, ma anche per “avvertirlo” che forse un altro Antibo, che di nome fa Gabriele, potrebbe avere qualcosa d’interessante nel suo dna». Una piccola speranza per un atleta che correva ogni settimana 200 km ed è arrivato sulle vette più alte dell’atletica. Auguri Totò.