Antonino Rapisarda, chi era costui? Una storia tra leggenda e realtà

Antonino Rapisarda, chi era costui? Una storia tra leggenda e realtà

16 Marzo, 2017

Antonino Rapisarda è un nome che viene citato spesso su Facebook, quando si vuole evocare qualcosa di lontano e leggendario, qualcosa di glorioso e irrealizzabile nel mediocre presente, un nome che rimane avvolto nel mistero e che ne fa mistica divina.
È esistito davvero in un altro tempo un allievo capace di correre 10,29 km nella mezz’ora in pista?

Quando qualcuno vuole dire che ha gareggiato in tempi favolosi, gravidi di talenti, quando emergere era complicato, ecco che Antonino Rapisarda riemerge dal passato, intangibile ma potente, come un corpo nuvoloso che mette paura, lui i 10.000 m li corse in 29’56”, sempre quel giorno magico del maggio catanese del 1982, di passaggio, passò i venticinque giri e ci mise in aggiunta quei pochi metri, come fossero la coda di una stella cometa luminosissima.

Lo si tira in ballo, quel ragazzo di Sicilia classe ’65, quasi a giustificare il proprio parziale o totale insuccesso nella carriera atletica:
“E che potevo fare io, buon cavallino certo, ma che potevo fare se c’era gente come Antonino Rapisarda?”.
Rintracciarlo al presente non mi è stato concesso per molto tempo dagli dei, che sul web lo nascondono, almeno a oggi, mentre scrivo queste righe, così che il mito possa rimanere inviolato.
La sezione immagini di Google lo ignora, non erano anni di foto. Di Antonio o Antonino Rapisarda su Facebook ce ne sono a centinaia, ho aperto innumerevoli profili per capire se qualcuno corrispondesse alla sua identità. Zero.
Pare compaia solo a pagina 153 della Storia dell’atletica siciliana di Sergio Giuntini e Pino Clemente, un testo prezioso
del 2012: Rapisarda è presente con una foto e un trafiletto.

Difficile reperire altro.
Attraverso un incrocio di contatti su Facebook sono comunque riuscito a scovare uno dei suoi allenatori, Vito Riolo, il mistero non si è dipanato sul presente, nessun contatto, nessuna informazione sulla sua vita attuale, ma il ricordo di quei giorni è ancora forte. Vito, valente tecnico, lo descrive come un ragazzo timido, buono e gentile: «Magro, di media statura, sembrava nello stile un corridore degli altipiani, busto un po’ in avanti, ondeggiava, ma i piedi erano forti, le caviglie esplosive. Il cuore era fortissimo».

In quegli anni spesso si sottoponevano i ragazzini di talento a carichi di lavoro troppo pesanti e i progressi si interrompevano dopo i primi
fuochi d’artificio nelle categorie giovanili. Sarà andata così anche per Rapisarda? In effetti non è un nome noto come quello di Stefano Mei, altro primatista a oggi imbattuto della categoria allievi. Antonino era fragile, lo conferma Vito Riolo: «Il suo punto debole era l’apparato osteo-tendineo legamentoso e, fino all’anno prima che lo perdessi, in carico aveva avuto diversi infortuni; in media si allenava un mese e due stava fermo per problemi ai tendini».
È di una forza fuori dal comune, ma va contenuta, va preservato quel dono naturale, Vito non esagera nei programmi e i risultati arrivano già al primo anno di categoria: nei 1.500 m 3’53”, nei 3.000 m 8’13”, sulla mezz’ora su pista a Messina corse 9,780 km, vinse il titolo italiano di cross e quello dei 3.000 m sempre su pista.
Rapisarda è nato a Belpasso, grande comune catanese che arriva a lambire la zona etnea. Al secondo anno di categoria passò alla guida tecnica del professor Cazzetta e ci fu quella famosa cavalcata nella mezz’ora in pista, un bel passo avanti.

Ma la domanda che mi ero fatto avvicinandomi a questa storia è la solita, perché ho una specie di ossessione per la dispersione
del talento. Antonino Rapisarda è una classica meteora smarrita nell’universo e implosa in un buco nero? Oppure no? Oppure la faccenda è più complicata? Meno triste? Ho avviato una sorta di Chi l’ha visto? su Facebook, e me ne vergogno, ma dopo un po’ qualche tassello è
andato a posto, le informazioni sono arrivate. Sapevo che Rapisarda aveva abbandonato Belpasso per trasferirsi in Francia per raggiungere una fidanzata e grazie a Enrico Pafumi, giovane atleta e tecnico siciliano, ho finalmente trovato il suo profilo, ma ho anche rilevato che non dà alcuna informazione su di sé e non ha riferimenti particolari, una pagina piuttosto anonima, nessuna foto vintage di atletica in bianco e nero. Ho inviato la richiesta di amicizia che è stata giustamente ignorata.

In realtà sto bluffando, oggi qualcosa so, anche se non tutto quello che vorrei. Non si trattò di un talento bruciato, ma di una fuga di gambe, Antonino continuò a correre, e molto forte, ma per i colori francesi, vinse un Campionato nazionale di cross, arrivò a chiudere i 3.000 m in 7’53”, i 5.000 m in 13’28” e i 10.000 m in 28’19”, personali ottenuti nell’ordine a Monaco, Parigi e Sheffield tra il 1988 e il 1991. Nel 1987 si ripresentò nella sua Catania per correre il prestigioso Trofeo Sant’Agata, una gara che a visionare l’albo d’oro vengono ancora i brividi. Antonino fece una gara da leone si arrese solo al britannico Jack Buckner, campione europeo dei 5.000 m
l’anno prima, dove aveva preceduto Stefano Mei. Si dovrà quindi evincere che Jack Buckner, in verità atleta non noto come un Coe o un Ovett, sia stato dunque la bestia nera dei recordmen italiani della categoria allievi.
Nessuna altra morale da questa storia.