Di fronte alle nuove tecnologie legate alle calzature e alla biomeccanica della corsa è cambiato anche il modo di pensare e utilizzare il plantare. E se questo arrivasse a costituire un’ulteriore forma di ritorno elastico?
“Partiamo dalle basi: chi progetta un plantare ha una responsabilità di carattere medico, soprattutto nei confronti dello sportivo che deve sopportare carichi applicati importanti”, ci ricorda in apertura di articolo il chirurgo ortopedico Luca De Ponti.
In altre parole, il runner non può ambire al massimo della prestazione se i suoi piedi non sono aiutati da uno strumento personalizzato, disegnato per garantirne l’integrità fisica.
Negli anni passati un plantare poteva costituire un limite ai fini prestativi in relazione alle caratteristiche dei materiali utilizzati: “quando troppo rigido, poteva condizionare in modo negativo il gesto tecnico”, prosegue De Ponti.
Da presidio sanitario a strumento di performance
“Oggi, però, non è più così: oltre alla prevenzione dell’infortunio e alla correzione biomeccanica del gesto atletico… se il plantare arrivasse a condizionare in meglio la prestazione, implementando la spinta? Potrebbe un plantare incidere in modo significativo incrementando il naturale braccio di leva dell’atleta?”, si chiede De Ponti.
Difficile, per ora, immaginare se mai si arriverà a vietare l’uso di plantari per questo motivo, o se si renderà necessaria una normativa sui materiali che li costituiscono.
Nota: Questo testo rappresenta una sintesi del servizio “In evoluzione continua”, di Luca De Ponti, pubblicato su Correre n. 460, febbraio 2023 (in edicola da inizio mese), alle pagine 68-69.