Avvicinandoci alla bella stagione, Correre di marzo riporta il trail running sotto i riflettori, con uno sguardo al passato e una panoramica sul presente. Dalla copertina dedicata a Tony “Tarzan” Krupicka (nella foto), al pioniere dello skyrunning Bruno Brunod.
Lo speciale trail running, che da alcuni anni ormai caratterizza Correre di marzo, si apre proprio con una riflessione di Leonardo Soresi su come anche nell’off-road, alla Bob Dylan, i tempi stiano cambiando.
“A ogni stagione ̶̶ scrive Soresi ̶ , sul palcoscenico internazionale della disciplina appaiono nuovi campioni, che bruciano di una luce luminosa, ma scompaiono dopo pochi anni. Sono finiti i tempi di un Marco Olmo che vince per sei anni di seguito il Raid du Cro Magnon e alla soglia dei 60 anni si toglie la soddisfazione di tagliare per primo (per due volte) il traguardo dell’Ultratrail del Monte Bianco. O i sette anni di dominio incontrastato di Scott Jurek e dell’eterna Ann Trason alla Western States.
Oggi i campioni che appaiono, conquistano vittorie di prestigio, infrangono primati storici e poi scompaiono senza lasciare tracce. Penso a Timothy Olson, che nel 2012 riscrisse il record della Western States, ma che negli anni successivi è progressivamente sparito. O a Geoff Roes, che dopo due anni di trionfi non riesce più nemmeno a pensare di mettersi un pettorale. Quali sono le icone del trail oggi, allora? La risposta non va cercata nelle vittorie e nelle prestazioni, ma nella capacità di trasmettere emozioni e passione”.
Premesso questo, ecco in sintesi, i nomi degli atleti che sono diventati punti di riferimento per gli appasionati e le motivazioni del loro essere, appunto, “icone”
Kilian Jornet
Il re dello skyrunning. Dell’ultratrail. Dello scialpinismo. Kilian ha vinto tutto quello che c’era da vincere. Dal chilometro verticale all’Ultratrail del Monte Bianco. Dalla Pierra Menta e i Mondiali di scialpinismo, fino ai record in solitaria su Denali, Kilimanjaro, Aconcagua, Cervino. Con il passare degli anni “Kiki” è diventato un uomo. Non un campione robotico che sa solo vincere, ma un ragazzo che con l’età non ha perso la timidezza, la voglia di stupire, il desiderio di andare al di là dell’orizzonte.
Anton “Tony” Krupicka
A 21 anni si affacciò su una scena dominata dai veterani con una ricetta sconclusionata, fatta di allenamenti infiniti senza programmazione, senza senso, solo per amore dei sentieri, della corsa. Una vita da sbandato, senza fissa dimora, a ricercare il cammino perfetto per tutto il Nord America, come i surfisti inseguono per tutto il Pacifico l’onda perfetta.
Krupicka rimane il più grande manifesto vivente della corsa in natura: barba incolta, i capelli lunghi, il minimalismo estremo che lo porta a correre spesso senza maglietta e con scarpe molto leggere. Chiunque l’abbia conosciuto sente, però, che il suo vero fascino non sta nell’esteriorità, ma nel suo amore autentico per la corsa. E ha scelto di mettere questo amore davanti a tutto: a 34 anni continua a passare mesi girovagando per le Montagne Rocciose, dormendo sul pianale del suo pickup e incarnando quel sogno di essere spiriti liberi che tutti i trail runner prima o poi accarezzano.
Zach Miller
La grande novità del 2016. Classe 1988, vive facendo il rifugista. Miller non sarà il più forte della nidiata di ultrarunner di fine decennio, ma ogni volta ci mette il cuore. Conosce solo una strategia di gara: partire al massimo e poi accelerare cercando di non morire. A ogni gara dimostra cosa voglia dire dare il tutto per tutto: non per vincere, ma per essere sicuro di non avere rimpianti.
Mira Rai
Non poteva mancare una donna. Non sarà forte come la francese Caroline Chaverot, ma la storia dell’atleta nepalese ci racconta di una ragazza capace di superare qualunque difficoltà. A 10 anni Mira saliva già su e giù per i monti portando sacchi di riso, cercando di guadagnare qualche soldo per aiutare la sua famiglia. Quando aveva 12 anni il suo villaggio fu preso dai guerriglieri maoisti e lei si unì alle truppe e divenne una soldatessa bambina. Oltre che nell’uso delle armi venne addestrata anche nelle arti marziali e nella corsa, tutte attività volte a renderla una combattente migliore. Al termine della guerra, partecipa a una 50 km nella valle di Kathmandu: si presenta al via affamata e con delle scarpe da poche rupie. A metà gara sta per svenire dalla fame, chiede in prestito 50 rupie per comprarsi una ciotola di spaghetti di riso e un po’ di succo d’arancia. Poi riparte e vince. Battendo tutti, uomini compresi.
Bruno Brunod
È la fine del 1990 quando Bruno Brunod vede un servizio su Valerio Bertoglio che scalava il Cervino a tempo di record, in 4 ore e 16’. Una fascinazione. Peccato che, pur essendo vissuto in montagna, Brunod non sia affatto un alpinista, ma un montanaro: un pastore e un contadino.
Al primo tentativo si arrende a 3.500 m, rendendosi conto di non sapersi muovere su pareti verticali e strapiombi. Ma non demorde, anzi, scopre che sta nascendo una nuova disciplina che sembra disegnata proprio su di lui: lo skyrunning. Sono gli anni dei pionieri di questo sport, come Marino Giacometti, oggi patron della International Skyrunning Federation.
Dopo 34 ascensioni e due anni di allenamento, il 17 agosto 1995 Brunod toglie più di un’ora al record di Bertoglio: 3 ore e 14’. Un record che durerà 18 anni, superato solo dal più grande campione di tutti i tempi, al massimo della sua forma fisica: Kilian Jornet Burgada.
Kilian ha ammesso che di tutti i record con cui si è confrontato, quello di Bruno al Cervino è stato il più difficile da superare: “Es un idolo, me hizo soñar de niño, para nosotros es Dios” (“È un idolo, mi ha fatto sognare da bambino, per noi è Dio”).
È per questo che Kilian, che nutre un’autentica venerazione per Bruno, ha voluto scrivere la prefazione all’autobiografia del grande valdostano. Il volume, intitolato “Il corridore del cielo” (Mondadori Electa l’editore) ci ha così permesso di aprire Correre di marzo collegando passato e presente dell’affascinante mondo della corsa in natura.
Nota per il lettore: questo testo fa riferimento a due differenti contenuti pubblicati su Correre n. 389, marzo 2017, entrambi a firma di Leonardo Soresi: “A fil di cielo, tra sogno e realtà” (pagine 16-19) e “Le icone della corsa in natura”, che apre lo “Speciale trail running” (pagine 84-89)