Il “braccio di leva” delle piastre nell’intersuola 

Il “braccio di leva” delle piastre nell’intersuola 

04 Aprile, 2022

La discussione tecnica non è finita. I giudici controllano gli spessori dell’intersuola, ma qualcuno ha mai controllato se l’atleta calza una misura giusta o una più grande? È una questione di braccio di leva.

Piastre rigide inserite nell’intersuola delle scarpe. È stato questo uno dei temi di discussione più in voga tra i runner nel 2021, alimentato dai record battuti, mai così tanti in una sola stagione. 

Su Correre di aprile, Luca De Ponti propone una riflessione nuova, che prende in considerazione il cosiddetto “braccio di leva”: “A parità di qualità fisiche, l’atleta con il piede più lungo, quando supportato da una adeguata muscolatura, può esprimere un’efficienza maggiore, che si traduce in una maggiore lunghezza della falcata nella corsa o una migliore elevazione nelle prestazioni di salto, in lungo o in alto, grazie ad allenamenti specifici. 

In caso di maratona 

De Ponti ricorda che “lo scopo delle piastre rigide affondate nell’intersuola è quello di mettere in moto un sistema di risposta elastica a basso costo energetico. Questo è quello che può avvenire per le performance nelle lunghe distanze, dove si può avere un risparmio energetico significativo grazie a tale lavoro eccentrico gratuito e un efficientamento energetico del sistema. Il tutto vale secondi nell’ambito di una maratona a patto di saper sfruttare, da un punto di vista tecnico, il vantaggio dato dalla calzatura”. 

“Un piccolo vantaggio per tutti – commenta De Ponti -, perché tutti possono migliorare in modo contenuto, non cambia di molto la sostanza. Alla resa dei conti il vantaggio potrebbe essere equiparabile a quello di correre una maratona su un manto sintetico come quello delle piste.”

In pista si rischia il “doping tecnologico”

“La musica si fa potenzialmente diversa per le specialità anaerobiche nelle quali la possibilità di aumentare a dismisura la cilindrata del motore diventa nettamente più marcata. Nel momento in cui un atleta con il numero 43 di calzatura riuscisse, con particolari accorgimenti tecnici, a sfruttare, grazie a una lamina rigida facente parte della calzatura, una scarpa nettamente sovradimensionata (vedi il numero 47) avrebbe dei benefici prestativi esagerati, una sorta di vero e proprio doping tecnologico equiparabile a un motore elettrico in una bicicletta da corsa. Questo ovviamente implicherebbe un adattamento muscolare non facile da ottenere con la seria possibilità di rischi legati a infortuni, ma sarebbe comunque una strada teoricamente percorribile con graduali adattamenti.”

Nota: Questo testo rappresenta una sintesi del servizio Piastre e pastrocchi”, di Luca De Ponti, pubblicato su Correre n. 450, aprile 2022 (in edicola da inizio mese), alle pagine 60-61.

 

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