Alla vigilia delle Paralimpiadi di Parigi, il mondo si è accorto di una storia che Correre vi aveva raccontato nel 2020. Quella di Valentina Petrillo, velocista ipovedente che allo Stade de France gareggerà nei 400 e nei 200 m. Proprio la stessa distanza del suo idolo di sempre, Pietro Mennea.
Se Petrillo riuscirà a emulare il suo mito, ancora non lo sappiamo. Ma già prima di mettersi sui blocchi, Valentina un po’ di storia l’ha fatta. Valentina Petrillo, infatti, sarà la prima atleta transgender iscritta alle Paralimpiadi.
L’avevamo conosciuta nel 2020, quando fu la prima atleta italiana a gareggiare nella categoria del proprio genere percepito. Con polemiche annesse. Ma nel pieno rispetto delle normative imposte a livello nazionale e internazionale.
La normativa internazionale
I più rapidi nella gara dell’inclusione furono il Comitato Olimpico Internazionale (nel 2015) e la World Para Athletics (nel 2018) che, dopo anni di ricerche di un pool di esperti capitanato dalla canadese Joanna Harper, fissarono il parametro per l’eleggibilità di atleti trans MtF (male to female, da uomo a donna) in 12 mesi continuativi con una concentrazione certificata di testosterone inferiore a 5 nmol/L.
A fine 2019 anche la Fispes (Federazione Italiana Sport Paralimpici e Sperimentali) recepì il regolamento nel frattempo pubblicato da World Athletics nell’ottobre del 2019, Da allora, però, ogni federazione sportiva ha adottato criteri differenti circa la partecipazione di atleti e atlete trans alle competizioni.
Di seguito un estratto dell’intervista di Francesca Grana, pubblicata su Correre di ottobre 2020.
Valentina Petrillo, sportiva da sempre
«Sono nata a Napoli nel 1973 ma a 20 anni mi trasferii a Bologna per studiare informatica all’Istituto dei Ciechi Francesco Cavazza. A 14 anni, infatti, dovetti fare i conti coi primi sintomi della sindrome di Stargardt, una degenerazione ereditaria della macula».
«Tra amici e compagni di classe ero famoso per la mia velocità e da quando vidi Mennea trionfare alle Olimpiadi di Mosca, l’atletica fu una folgorazione».
«Dopo una parentesi milanese, in cui mi dedicai al calcio a 5 e vidi sfumare i Mondiali per ipovedenti di Seoul a causa di un infortunio al ginocchio, tornai a Bologna e all’atletica, vincendo 11 titoli italiani Fispes nel giro di 3 anni. A quel punto, però, qualcosa in me era cambiato per sempre».
L’anno della consapevolezza
«Nell’ottobre del 2017 ci fu l’ultima gara di Fabrizio. E la feci soltanto per lealtà nei confronti della mia squadra, per cui i campionati italiani societari erano importanti. Fabrizio, però, si presentò al via con lo smalto. Un piccolo gesto per affermare che quello non era più il posto adatto a me».
«A gennaio 2018 comincio la terapia ormonale e nel giro di un mese, sportivamente parlando, mi trasformo: ingrasso 10 kg e mi sento senza energie, ho sempre male dappertutto. In una certa misura stavo facendo violenza sul mio corpo, ma di testa non mi ero mai sentita più libera».
«Nel frattempo l’allenatore fatica a guardarmi in faccia. Mi segue meno e sento che il rapporto non è più alla pari. Per tornare a sentirmi tranquilla, meglio cambiare tecnico e società. Mi tessero con Polisportiva Pontevecchio Bologna, che mi rispetta e mi mette a disposizione uno spogliatoio tutto mio: pochi metri quadrati che tutelavano il mio essere. A volte penso che la mia malattia sia una fortuna: ci vedo poco e posso ignorare gli sguardi della gente».
Ti piace vincere facile
«L’insinuazione che più mi pesa è che abbia intrapreso questo percorso per vincere più facilmente. Al di là della superficialità disarmante, ricordo che di titoli italiani Fispes ne avevo già vinti 11 prima di iniziare la transizione».
«Gli effetti collaterali della terapia ormonale sono incontrovertibili: otto decimi persi nei 100 m, oltre un secondo e mezzo nei 200 m, 12” nei 400 m, per non parlare della contrazione della massa muscolare».
«Lo sport è un mondo assolutamente sessista: sei giudicata in base al tuo corpo e sembra non ci sia modo di uscire dalla catalogazione binaria uomo/donna. È lecito che le mie avversarie abbiano delle perplessità, ma è bene che sappiano che rispetto tutti i limiti stabiliti».
«Sono un’agonista nata e ho sempre voluto primeggiare in tutto. Improvvisamente, però, non mi sarebbe dispiaciuto arrivare seconda e trovarmi la strada spianata da un’altra atleta trans cui veniva riconosciuto il diritto di gareggiare. In Italia serve più cultura, non soltanto sportiva».
«Al di là delle vittorie, l’unica volta in cui ho fatto festeggiato è stato quando la Fispes ha ufficializzato che io, Valentina, avrei potuto regolarmente gareggiare nella categoria femminile. La mia transizione non è stata una scelta di coraggio, ma di necessità».
Le convocate e i convocati alle Paralimpiadi 2024
Sono 15 le atlete e gli atleti italiani convocati alle Paralimpiadi di Parigi, in programma dal 28 agosto all’8 settembre 2024. Sette donne e otto uomini: Assunta Legnante nel getto del peso e lancio del disco F11, Martina Caironi nei 100 e nel salto in lungo T63, Ambra Sabatini nei 100 T63,
Monica Contrafatto nei 100 T63, Valentina Petrillo nei 200 e 400 T12, Giuliana Chiara Filippi nei 100 e salto in lungo T64, Arjola Dedaj nei 100 e salto in lungo T11 (con la guida Alessandro Galbiati), Maxcel Amo Manu nei 100 e 200 T64, Marco Cicchetti nei 100 e salto in lungo T44,
Giuseppe Campoccio nel getto del peso e lancio del giavellotto F33, Ndiaga Dieng nei 400 e 1500 T20, Oney Tapia nel lancio del disco e getto del peso F11, Fabio Bottazzini nei 100 e 200 T64, Rigivan Ganeshamoorthy nel lancio del disco e lancio del giavellotto F52, Francesco Loragno nei 100 e 200 T64.