Tiziano Marchesi, atleta tesserato per la società Running Bergamo, stabilisce la miglior prestazione italiana sulla 6 giorni, al lago Balaton, piazzandosi in seconda posizione assoluta nella classifica generale, alle spalle del britannico Dan Lawson.
144 ore di corsa
La gara è partita giovedì 9 maggio alle 12 e si è conclusa mercoledì 15 maggio dopo 144 ore di corsa continua. Marchesi ha portato la miglior prestazione italiana detenuta da Michele Notarangelo (Balaton 2017, km 821,746) a km 914,166, primo italiano di sempre a infrangere il muro dei 900 km.
In gara anche altri tre atleti italiani: Roldano Marzorati che ha chiuso con 682,487 km stabilendo la miglior prestazione italiana della categoria M60; Sonia Luterotti, che a sua volta, con 525,855 km, ottiene la miglior prestazione italiana della categoria W55; Giuliano Pavan purtroppo si ferma dopo 67 ore di gara a 246,534 km per un infortunio.
Resta inarrivabile il record del mondo dell’ormai mitico Yannis Kouros: 1.036,800 km coperti nella sei giorni di Colac (AUS), il 26 novembre 2005.
L’estetica della fatica
Sfrutto le parole di un famoso “grimpeur” del ciclismo francese, che diceva: “Le salite sono per gli umili, le discese per i campioni”.
Dentro a 6 giorni (144 ore) di corsa, nella solitudine abbagliante di 6 notti, nel silenzio raschiato appena dal rumore del calpestio dell’asfalto, ti scorre una vita nel cervello. Forse più di una: tutte quelle vite che avresti sempre voluto vivere, e l’unica a cui stai cercando di dare un senso. E più passa il tempo, più segni chilometri sulle tue gambe, più tutto si amplifica. La gioia dell’anima sportiva e il dolore umano del corpo.
La strada è di una monotonia allucinante, sempre quel maledetto giro di un chilometro, sempre uguale, ma proprio per quello, forse unico al mondo, almeno nel tuo mondo.
Correre per 6 giorni non è uno sport
Correre per 6 giorni non è uno sport, l’endurance in generale non è uno sport: è un magnifico transito di dannazione dove i chilometri, guadagnati metro dopo metro, ora dopo ora, giorno dopo giorno, diventano superficie dell’essere, mentre ascolti battere il cuore, battere il tempo, e non ne impallidisci. E solo alla fine, allo scoccare dell’ultimo minuto di gara, lo spazio finalmente afferra il tempo e non lo lascia più fuggire, per sempre, per il resto della tua vita. Hai attraversato silenzi caldi, brevi riposi densi di luce, un abbandono pieno della coscienza. Ti sei calato dentro a te stesso, immerso in un liquido amniotico primordiale, rivedendo le grandi scene della tua vita. Ti sei offerto straordinarie impressioni del passato, urticanti proiezioni del futuro, ti è parso di udire le voci del silenzio. L’umanità agonizza nelle città, lontano, mentre tu lo fai in quel luogo che hai deciso di consacrare alla tua piccola, grande gloria personale. E proprio lì, dinnanzi a quello sforzo estremo, immenso, ti sei sentito un uomo piccolo, seppur agile e resistente, febbrile. Uno che sogna la fatica come una liberazione, come i “grimpeur”, un Pantani della corsa a piedi.
Marchesi, un acrobata della fatica
Una che la fatica la aspetta da sempre, Tiziano Marchesi, un vero “grimpeur”, (già detentore della miglior prestazione italiana della 48 ore con km 413,630), le va incontro come per un richiamo definitivo e irrefutabile. Un acrobata della stanchezza. Quella fatica che per qualcuno diventa perfino un’occasione (a volte l’unica) per rivoluzionare le gerarchie, i ruoli, le dipendenze della vita quotidiana. I belli, là fuori, soffrono la fatica, così come Anquetil e Cipollini soffrivano la salita. Tiziano è un Sisifo moderno, il figlio del re dei venti Eolo, che avendo ingannato Zeus e Persefone fu condannato per l’eternità a spingere un masso fino alla sommità del monte dal quale questo rotolava inesorabilmente a valle, costringendolo a ricominciare da capo l’impresa. Sono robe che ti chiedono umiltà infinita e nascoste capacità di ostinazione, volontà fredda e silenziosa. Perché i primi giorni ti lusingano, le gambe girano che sembra una favola, il cronometro ti attira a sé facendoti credere che sia facile domare il tempo. Mentre è lui, sempre lui che fissa il margine tra il difficile e l’impossibile. E anche questa volta Marchesi ha fatto l’impossibile.