Nonostante la fama che storicamente si è meritato, Correre non è un giornale propriamente “tecnico”, come, per intenderci, la “federale” Atletica Studi o anche la nostra Scienza&Sport. La sua forza consiste principalmente nella capacità di rispecchiare i tanti aspetti del mondo di chi corre, perché buona parte dei lettori sono podisti appassionati soprattutto dell’ambiente della corsa. Eppure basterebbe assimilare le semplici nozioni riportate, per disporre anche di una essenziale conoscenza tecnica di base.
Molti, però, di quei lettori che incontrandomi sentono il bisogno di farmi i complimenti per la rivista, questa conoscenza, pur avendola sotto gli occhi in queste pagine, trovano più facile cercarla sul web.
In Rete, purtroppo, ciò che si legge in tema di allenamento viene spesso proposto in forma astrusa, probabilmente per mascherare inadeguatezza. In qualche occasione, poi, si esagera con il cosiddetto “copia – incolla” di conoscenze non proprie spacciandole come originali. La mia impressione di navigatore assiduo della Rete è che, con poche e meritevoli eccezioni, lì prevalga il “per sentito dire”. Che è un po’ quello che succedeva una volta, quando ci si fidava di quello che si sentiva dire al campo scuola. Oggi in rete come allora al campo, non serve una qualifica per inserire nel proprio blog o rubrica tecnica nozioni assorbite in altri ambiti non qualificati. Così, le informazioni tecniche proposte sono spesso confusionarie, infestate di neologismi che nascono come i funghi. Da tempo ho raccolto affermazioni varie che fanno sorridere, quando non proprio ridere, e ogni tanto mi diverto arileggerle, per ritrovare un po’ di buon umore, riflettendo però sulla sfrontatezza di chi le riporta e notando che il più delle volte si tratta proprio di quel tipo di persona che afferma di non avere più la necessità di tenersi aggiornato consultando la nostra rivista.
Tutto dipende da quanto poco o molto ci si accontenta di sapere. Se, ad esempio, a me bastasse saper spiegare in linea di massima cos’è il fartlek, è chiaro che ogni volta che questo allenamento viene trattato su queste pagine lo vivrei come una ripetizione di quanto venne proposto dall’allenatore svedese Gosta Holmer sin dal 1940, ma l’evoluzione tecnica di questa semplice e naturale seduta di corsa ci induce a considerare e a riportare a chi ci legge le varianti con cui lo si applica ora (ad esempio nel metodo di lavoro utilizzato da Alberto Salazar con Mo Farah), a dimostrazione di come un mezzo di allenamento utilizzato da oltre settant’anni sia sempre attuale. In ogni ambito le conoscenze aumentano, e quindi ciò che si propone nella rivista può apparire, da una lettura superficiale, già letto o sentito. Così non è, proprio perché le esperienze e lo studio portano a informazioni sempre più specifiche. L’importante, però, è avere ancora sete di conoscenza, quella vera.