Record stellari, scarpe “al carbonio” e piste-fionda

Record stellari, scarpe “al carbonio” e piste-fionda

03 Agosto, 2021
Giancarlo Colombo/FIDAL

Un record straordinario, il 45”94 di Karsten Warholm nella finale dei 400 a ostacoli dei Giochi olimpici. Merito della sua indubbia classe e preparazione, ma il fatto che anche lo statunitense Rai Benjamin, secondo, e il brasiliano Alison Dos Santos, terzo, abbiano ottenuto rispettivamente il secondo e il terzo miglior tempo di sempre (46”17 e 46”72) impone una riflessione sugli odierni alleati di questi grandi atleti: le scarpe col plate in carbonio e le piste-fionda.

45”94. In lettere: quarantacinque secondi e 94 centesimi. Per molti atleti di alto livello è già un sogno ottenere un tempo così nei 400 metri piani, ma alle ore 5:21 della mattina italiana di martedì 3 agosto, Karsten Warholm ha ottenuto quel tempo nei 400 metri a ostacoli. Lista all time alla mano, il record del mondo del giro con barriere è uno dei più impegnativi del panorama dell’atletica: (ammesso che sia possibile stilare una graduatoria tecnica della “difficoltà” di un primato del mondo rispetto agli altri). Lo testimoniano le durate dei primati precedenti: ci sono voluti 29 anni per migliorare il limite fissato da Kevin Young ai Giochi di Barcellona, il 6 agosto del 1992, quel 46”78 che per la prima volta portava la specialità sotto il muro dei 47 secondi, esattamente sotto il 47”02 con cui, il 31 agosto 1983 (quindi nove anni prima) culminò la carriera-leggenda di Edwin Moses.

Gli indizi

Karsten Warholm aveva già ottenuto il record mondiale quest’anno con il 46”70 fermato il primo luglio a Oslo. Il fatto che dopo solo un mese abbia migliorato quel limite di 76 centesimi, un’enormità in una volta sola, depone innanzitutto a favore della sua bravura e della straordinaria condizione raggiunta, che però da sole non bastano a “giustificare” un salto simile.

Soprattutto se i suoi più fenomenali avversari, lo statunitense Rai Benjamin, secondo, e il brasiliano Alison Dos Santos, terzo, hanno ottenuto rispettivamente il secondo e il terzo tempo di sempre: 46”17 e 46”72.

È soprattutto questo tris ad aprire la riflessione sui co-protagonisti tecnici di questa “impresa a tre”: le nuove calzature con plate in carbonio approvate a inizio 2020 dalla World Athetics e le “piste-fionda” (mia antica e personale definizione) realizzate ad hoc per i grandi eventi.

Le scarpe con plate in carbonio

Sono tre i tipi di calzature ammessi dalla World Athletics, distinte tra “Spike” e “non spike” e classificate in base dall’altezza del piede rispetto al terreno:

• minore-uguale a 20 mm, per le corse in pista piane e a ostacoli (quindi anche nella finale qui ricordata), alto, asta, lungo, peso, disco, martello e giavellotto;

• minore-uguale a 25 mm, per le corse di 800 m e distanze maggiori, il salto triplo e (fuori dal contesto olimpico) il cross;

• minore-uguale a 40 mm, per le corse su strada e la marcia su strada.

Quante sono le scarpe col plate in carbonio?

Quante sono? 156 modelli, tra quelli da 20 e da 25 millimetri di altezza, risultano ammessi alle gare in pista dei Giochi olimpici. E non si tratta più di monopolio o duopolio, perché quei 156 modelli sono stati prodotti da 13 diversi brand: “In questo caso – aveva scritto Filippo Pavesi su Correre di luglio – la parte del leone la fanno i brand giapponesi, Mizuno (ben 47 modelli) e Asics (24 modelli), ma quasi tutte le altre aziende sono statunitensi: Brooks (4 modelli), Hoka One One (5 modelli), New Balance (5 modelli), Nike (25 modelli), Reebok (2 modelli), Saysh (1 modello), Skechers (1 modello) e Under Armour (12 modelli). Il lotto delle scarpe in pista è completato da tre aziende europee: Adidas (9 modelli), On (2 modelli) e Puma (19 modelli)”.

“La palma per il brand più misterioso, e più costoso – afferma il nostro esperto di calzature -, spetta alla Saysh, che dichiara sul sito un prezzo di 2.500 dollari a paio, forse non così conciliabile con lo spirito olimpico, che pretende di mettere tutti gli atleti nelle medesime condizioni.”

“Fra le innovazioni, invece, svettano le leggerissime Asics Metasprint e Metaspeed MD, entrambe chiodate senza chiodi, sostituiti da una matrice di punte direttamente stampate sui plate, prodotti con un composito di carbonio a fibre corte, stampato ad alta pressione, simile a quello che la Lamborghini chiama Forged Carbon”.

Come funzionano le scarpe col plate in carbonio?

Anche qui riporto, come risposta ,quanto scritto da Filippo Pavesi su Correre di luglio, nell’ampio dossier sulle scarpe con plate in carbonio in cui sono confluiti anche i contributi di Maurizio Cito e di Giorgio Rondelli: “Da un paio di anni la World Athletics ha ritenuto utile formare una commissione, che ha istituito delle norme che, intese a controllare lo sviluppo delle scarpe ammissibili in gara, hanno fissato un limite di altezza massima (40 mm di spessore totale, fra suola, intersuola e sottopiede). Non a caso, uno degli scopi delle “maxi-intersuole”, cresciute come funghi negli ultimi anni, è quello di massimizzare la lunghezza della corsa della sospensione, utile ad accumulare energia elastica durante la compressione che si verifica a ogni impatto.

Oggi, tutte le migliori scarpe da gara utilizzano materiali superelastici, che lavorano in sinergia con plate in fibra di carbonio (materiale composito, che abbina elevata elasticità e leggerezza). Le scarpe più efficienti ottimizzano l’accumulo e la restituzione dell’energia elastica, arrivando a restituirne quasi l’80%. Questa sinergia caratterizza tutte le scarpe più veloci oggi in commercio, prodotte dai migliori marchi globali, e conformi alle direttive della World Athletics, fra cui le Asics MetaSpeed Sky e MetaSpeed Edge, le Adidas AdiosPro e AdizeroPro, le Brooks Hyperion Elite e Hyperion Elite 2, le Hoka One One CarbonX2 e RocketX, le New Balance FuelCell RC Elite, le Nike Zoom VaporFly Next% e AlphaFly Next% e le Saucony Endorphin Pro.”

Le piste-fionda

L’idea della Mondo Spa di Alba (CN), storica azienda costruttrice di manti anche per le piste di atletica, ha fatto scuola. Dagli anni ottanta il cosiddetto (e brevettato) “Sportflex” si è posto come alternativa ai manti “in colato” e si è poi evoluto in modo sempre più efficace. Alla base dello Sportflex, in soldoni, c’è una stuoia già elastica di suo, che lo diventa ancora di più quando viene completata da un’irrorazione (a spray) di materiale gommoso. Tutte le qualità di questa invenzione (la stuoia, il materiale gommoso) hanno una capacità performante “regolabile”, in qualche modo “on demand”: più è alta la risposta elastica del manto, più lievita il costo dell’impianto. Il budget di Mondiali e Olimpiadi è ben diverso da quello dei nostri Comuni alle prese con il deterioramento dei campi scuola: in queste grandi occasioni gli atleti hanno sotto i propri piedi un “alleato” eccezionale nella reattività della risposta elastica, che magari viene usato una volta sola. Curioso è che questa stagione delle piste fionda sia cominciata proprio a Tokyo, con i Mondiali del 1991 in cui venne stabilito l’ancora oggi record del mondo del salto in lungo maschile (8,95 m di Mike Powell).

Chi ne beneficia? I più avvantaggiati sono gli atleti che maggiormente devono lavorare sulla potenza esplosiva della spinta del piede, come velocisti e saltatori. Chi spesso ne trae guai sono invece i mezzofondisti “prolungati”: Atlanta, 1996, alla fine dei 25 giri dei 10.000 m, il vincitore, Haile Gebrselassie, viene portato in carrozzina all’ospedale: infiammazione acuta ai tendini.