Era sabato 11 agosto 1984 quando Gabriella Dorio, la ventisettenne vicentina di Veggiano, entrò nella storia con la luce nei capelli e un sorriso ancora oggi indimenticabile. Ecco il suo ricordo della medaglia d’oro nei 1.500 metri ai Giochi olimpici di Los Angeles.
In questi giorni di maratona TV per i Giochi olimpici, venerdì 9 agosto l’abbiamo vista sbucare dagli spalti dello Stade de France di Parigi per abbracciare Nadia Battocletti dopo il meraviglioso argento nei 10.000 metri. Una gioia più che giustificata: Gabriella Dorio Nadia l’ha davvero “vista crescere”, quando con Piero Endrizzi e Lucio Gigliotti faceva parte del gruppo di lavoro per il mezzofondo, che faceva capo a Stefano Baldini, all’epoca responsabile del settore giovanile.
Ma già nella serata precedente, l’8 agosto, non l’avevamo vista, ma abbiamo parlato di lei: era accaduto quando, nella prima semifinale dei 1.500 metri, Syntayehu Vissa ha stabilito il record italiano con 3’58”11, record che apparteneva da quasi 42 anni proprio a Gabriella Dorio con il 3’58”65 stabilito a Tirrenia il 25 agosto 1982.
E proprio nella giornata conclusiva dei Giochi olimpici, domenica 11 agosto, ricorre il quarantesimo anniversario della pagina più gloriosa della campionessa vicentina: la medaglia d’oro proprio nei 1.500 metri ai Giochi olimpici di Los Angeles 1984.
Una “cometa” al “Coliseum”
Una cometa” la definì Giorgio Barberis, che su Correre ricordò quella finale in progressione, che costrinse la rumena Doina Melinte ad arrancare senza riuscire a risalire.
Due le delusioni della numero uno del mezzofondo italiano trasformate in rabbiosa energia. La prima ai Mondiali di Helsinki dell’anno prima quando esami medici spiegarono con il calo di ferro una prestazione sotto tono. L’altra nella finale degli 800 a Los Angeles, corsa pochi giorni prima di quella dei 1.500 metri.
«Lì fu tutta colpa mia – ricordò Gabriella su Correre –: sbagliai due volte, prima andando subito in testa, poi pensando di rifiatare ai 600 metri. Arrivai quarta, la giusta punizione.»
La gara di Los Angeles 1984
«I 1.500 metri diventarono così la gara della rivincita e fin dai turni eliminatori la preoccupazione fu di dimostrare alle avversarie che stavo bene. Ricordo che dopo la semifinale, la rumena Puica mi disse: “Gabriella, ma perché hai tirato così forte?”. E io, sforzandomi di non far trapelare il fiatone, dissi: “Forte? Non me ne sono accorta!”. D’altra parte mi piaceva far sentire in colpa le rumene, lo confesso.»
«Nonostante la sicurezza ostentata, la paura era tantissima. La gara si svolse esattamente al contrario di come l’avevo pensata. Credevo sarebbe stata una prova veloce e invece i primi passaggi furono lentissimi, al punto che poi, ripensandoci, mi sono chiesta perché non sia andata al comando, visto che mi piaceva.»
«Al passaggio agli 800 metri, leggendo il tempo sul tabellone, quasi mi sono sentita male tanto eravamo lente. È stato in quel momento che ho deciso di andare in testa. Gli ultimi 600 metri li ho percorsi tutti alla stessa andatura e fu la Melinte a commettere un sacco di stupidaggini, la più grossa delle quali fu quando, agli ultimi 200 metri, volle a tutti i costi sorpassarmi all’esterno anziché aspettare l’ingresso in rettilineo finale per “infilarmi”. Io fui contenta della sua scelta, perché sentivo che stava sprecando un sacco di energie e non avrebbe potuto tenere fino al traguardo. Su quel rettilineo che sembrava non finire mai, la ripassai senza difficoltà. In gara, probabilmente lo ricordate, avevo l’abitudine di non voltarmi mai: mi bastava sentire il fiato delle avversarie per avere un’idea precisa di come la corsa stava andando.»
«Andò così anche quel giorno e gli ultimi metri li percorsi con la meravigliosa consapevolezza che stavo vincendo un oro olimpico!»
La premiazione
«Dopo l’arrivo mi sono guardata intorno per cercare i miei amici e cercai con lo sguardo mio marito: non lo vidi e per questo mi misi a fare il giro del campo. E quando l’ho trovato, solo allora è stata vera gioia. Poi la premiazione: mi ero imposta di non piangere, perché volevo vedere bene la bandiera che saliva sul pennone. “Sono 15 anni che aspetto questo momento”, mi ripetevo, e così sono riuscita a trattenere le lacrime. Solo quando tutto fu finito, mi lasciai andare.»
La scomparsa, il giorno dopo…
L’Indomani tutti a cercare la Dorio, che era scomparsa: «È stato un segreto a lungo: mi volevano i giornalisti, mi voleva Nebiolo (presidente Fidal e Iaaf, ndr), ma io andai con mio marito a Disneyland. Volevo stare tranquilla e vivere una giornata tutta mia. Furono davvero ore da favola!».
Poi si è favoleggiato di un bagno nel vino… «Accadde al ritorno in Italia, quando alcuni amici presero in parola la mia decisione di fare un bagno nel vino se avessi vinto i Giochi olimpici. Mi trovai una tinozza piena e ci entrai dentro vestita!»
Scarpette al chiodo
L’atletica, per Gabriella Dorio, finì dopo Los Angeles 1984, giusto?
«Sì. Rimasi incinta, era quello che volevo. Con l’atletica mi sono divertita molto e all’atletica ho dato tantissimo, ma il sogno più importante, fin da bambina, era quello di mettere su famiglia.»