Smettiamo di presentarci agli allenamenti clou al top della forma, freschi e riposati. Impariamo a sopportare il senso di stanchezza e ad affrontare “allenamenti imperfetti”. Il consiglio arriva da Orlando Pizzolato che ne discute in modo dettagliato su Correre di giugno.
«Che fatica! Non ce la faccio più. Ora mi fermo». Scagli la prima pietra chi non ha mai pronunciato, o almeno pensato, queste frasi durante un allenamento o nelle fasi più critiche di una gara. La fatica è uno stato fisico e mentale che insorge durante lo sforzo e ci protegge da uno stress che potrebbe risultare insopportabile per il nostro organismo. Un meccanismo di difesa. Senza dubbio, il fattore che limita maggiormente le prestazioni di un corridore.
Il senso di affaticamento ha varie cause, quasi tutte riconducibili a due situazioni specifiche: esaurimento energetico e accumulo di prodotti metabolici conseguenti alla produzione di energia. Gli effetti negativi della fatica si manifestano con un’alterazione della meccanica di corsa, inducendo una storpiatura del gesto tecnico dell’atleta. Rendersene conto è facile: basta osservare le differenze tra l’azione di corsa di un maratoneta al decimo e al quarantesimo chilometro.
Per migliorare gli aspetti che condizionano il rendimento è necessario aumentare la resistenza alla fatica, sia a livello fisico, sia mentale. Per gli atleti di alto livello non si tratta di una novità, essendo abituati ad allenarsi in situazioni di equilibrio fisiologico alterato per via degli sforzi ripetuti. Nei podisti amatori, invece, l’atteggiamento nei confronti della fatica e dei disagi da essa indotti è differente. Non che gli amatori siano restii a faticare, lungi da me sostenerlo, ma ho notato che essi tendono ad allenarsi ricercando situazioni favorevoli, tali da non esasperare la percezione dell’affaticamento.
A corredo dell’articolo Orlando Pizzolato fornisce anche le indicazioni alcune sedute per allenarsi a vincere la fatica.