Prima di affrontare una gara, siamo soliti porci degli obiettivi che ci aiutino a superare sforzi e disagi. Quasi sempre ci poniamo un obiettivo cronometrico, che molto spesso coincide con qualche barriera temporale.
Alcuni podisti, in realtà pochi, gareggiano contro un avversario diretto, cercando di precederlo al traguardo. Per altri, invece, la gara rappresenta una sfida con se stessi e con i propri limiti, cercando di essere psicologicamente non vulnerabili rispetto alle difficoltà tipiche delle corse di resistenza: la fatica e la stanchezza.
Su Correre di novembre Orlando Pizzolato spiega come la sfida non si giochi solamente sul piano mentale, bensì contro le “regole” della fisiologia. La fatica è una sensazione che il corpo genera per comunicarci che lo sforzo che stiamo sostenendo sta alterando il nostro equilibrio fisico.
La fatica è determinata da varie alterazioni fisiologiche che, nel caso di un maratoneta, coincidono con l’esaurimento delle scorte di glicogeno e con un livello molto basso di zuccheri nel sangue. Gli allenamenti più importanti sono proprio quelli che ricreano queste alterazioni fisiologiche, ma non dimentichiamoci che le medesime sedute condizionano in maniera diversa ognuno di noi.
I “lunghissimi”, per esempio, non sono più sufficienti per i podisti efficienti e per quelli che si allenano da anni: tali allenamenti devono essere “nobilitati” da varianti qualificanti, come variazioni di ritmo che determinano un maggior dispendio energetico e progressioni finali che portano all’esaurimento delle riserve di energia.